A Tavola al Museo

Quando il piatto sposa l’opera d’arte

Quando il viaggiatore goloso arrivò per la prima volta negli Stati Uniti d’America nell’autunno del 1998, molte cose mai viste prima, lo stupirono assai. Ma niente attirò la sua attenzione quanto la presenza intorno a lui di tante persone obese e di tanto tanto cibo: si mangiava ovunque ed ad ogni ora.

Un mondo di ciccioni

Si era accorto di essere capitato in un mondo di ciccioni: donne adipose, bambini obesi e uomini sovrappeso, del quale, fino ad allora, ignorava la presenza. Ad accrescere il suo stupore, la sua curiosità verso questo “nuovo” Continente, concorse anche un altro fatto: si accorse, il viaggiatore goloso, che gli americani mangiavano non solo nei ristoranti, nei caffè, per la strada, nei Supermercati, nei Centri Commerciali e nei Fast Food, ma pranzavano o cenavano anche nelle librerie nei Musei. E scoprì, in seguito, che le più grandi e importanti città degli Stati Uniti d’America (New York, Boston, Chicago, San Francisco, Los Angeles, Las Vegas e Miami), avevano un potentissimo elemento d’attrazione, capace di attirare ed accrescere i visitatori verso i loro musei: era il cibo! Meglio dire la Ristorazione.
Cosa molto in solita in Italia, dove la Ristorazione li ha sempre ignorati e sfruttati poco i Musei. Un problema di mentalità e di cultura del nostro Paese, dove è difficile fondere due progetti culturali, come hanno osservato, ultimamente, alcuni famosi chef stellati, ma anche di miopia istituzionale e di scarse ambizioni imprenditoriali. A differenza dell’Italia, in seguito, tornando spesso nel Paese a Stelle e Strisce, il viaggiatore goloso ha dovuto prendere atto e riconoscere che gli Stati Uniti sono l’ennesima dimostrazione di quanto i contenuti gastronomici rappresentino un potenziale per i poli museali.

Whitnei Museum e Maine Lobster


È bastato visitare il Whitney Museum of America Art di New York, dove l’artista Laura Poitras era la protagonista dell’esibizione “Astro Noise”, mostra dedicata a temi come la Sorveglianza di massa e la guerra al Terrorismo, per capire quanto contribuisce in maniera importante (anche economicamente) al Museo di New York, il suo celebre ristorante The Modern, curato dal mostro sacro della ristorazione cittadina Dany Meyer, che serve piatti ai visitatori-gourmet come Chowder di Molluschi di Manhattan (Zuppa di Molluschi) o The Maine Lobster Newburg and sweet potato, (Zuppa di astice Americano con patate dolci) o La Rana Pescatrice in salsa Chardonnay e pomodorini secchi.
Ma può anche capitare che all’Art Institute of Chicago, dopo aver visitato la collezione permanente, oppure le tre versioni della “camera da letto” dipinta da Vincent Van Gogh, ci si può accomodare ad uno dei tavoli del Terzo Piano, che è uno dei ristoranti curati dallo Chef Italo-Americano, Tony Mantuano, lo Chef più amato dall’ex Presidente Obama, anche grazie alla sua memorabile versione di Pappardelle al ragù di funghi. In questo elegante locale, Tony serve, inoltre, il Salmone delle Isole Faroe in salsa di aneto e riso selvaggio oppure un lungo ed interminabile Brunch domenicale.

Da Londra a Parigi

Anche nel Nord-Europa, in special modo nel Regno Unito, dove il viaggiatore goloso è vissuto dal duemila al duemila e tre, ha trovato una situazione radicalmente diversa che nel nostro Paese. A Londra, ad esempio, già in quegli anni, l’elenco dei musei con ottima cucina, era molto lungo: Alla National Dining Rooms della National Gallery si poteva mangiare una ottima tartar di cervo e bere un calice di rosso, Barolo, 1990 di Paolo Scavino, seduto ad un tavolo in veranda con vista su Trafalgar Square. Atmosfera rilassante, cucina di stagione e ottima miscela di arabica, il viaggiatore goloso l’ha trovava al caffè della Whitechapel Gallery nell’East End, mentre per uno dei migliori Hamburger della città o per quella British Gastronomic Institution, che sono i Fish and Chips, accompagnava spesso suo nipote Patrik al divertente Bonfire Barbican Center. Il museo giusto, per i wine lovers o i Santi bevitori è però la Tate Britain, il ristorante che fu decorato da Rex Whisller, dove viene servita un’oca con purè di pastinaca e salsa di mirtilli accompagnata sempre da una eccellente bottiglia di vino di Bordeaux.
Parigi, poi, è il Non plus ultra! Questa incantevole metropoli è capace di attrarre un doppio pubblico di appassionati: per l’esperienza museale - gastronomica in sé valgono il costo del biglietto in aereo e per chi non ha fretta anche in treno con il comodo, elegante e veloce TGV. Le George Restaurant del Centre Pompidou, oltre la mostra Contemporary Art (Arte Contemporanea), nella spettacolare Terrazza, offre anche un tenerissimo filetto di manzo con salsa bernese. Ma chi ama lo stile di Frank Gehry, può andare a cena al ristorante Le Frank della Fondation Louis Vuitton, che è una sorta di “acquario” popolato da grandi pesci volanti e si può gustare una spigola con ravioli di miso, porri, aglio e sake.

Anche in Italia: pochi, ma buoni


Oggi, molte cose sono cambiate anche in Italia. Tornato in Europa, dopo il suo viaggio negli Stati Uniti, il viaggiatore goloso, aveva notato che uno spettacolo simile visto in America, cominciava a profilarsi anche al di qua dell’Oceano. In particolar modo nel Bel Paese dove, a proposito di obesità, malgrado sia il Paese di Slow Food e della Dieta Mediterranea, il numero di persone grasse si era fatto molto più alto: cosce ventri e petti avvolti di strato di grasso ben visibile, nell’universo di passanti e di persone che transitavano per la strada. Tutto a causa di quella cattiva ed errata alimentazione, basata su cibo-spazzatura: i “gustosi” cibi pronti o quasi da supermercato!
Ma non solo questo aveva impressionato il viaggiatore goloso. Viaggiando per l’Italia, si era accorto che a proposito di ristoranti negli spazi espositivi, alcune città avevano iniziato a capire che la ristorazione poteva “sfruttare” i musei. Da Lucca a Torino passando per Milano, Firenze, Roma Venezia e Padova, finalmente molte cose erano cambiate in meglio.
Era iniziata una nuova era: pochi ma ottimi esempi, voluti da nuovi e giovani direttori che avevano acquisito una esperienza, lavorando in musei europei e di oltreoceano. L’idea non era solo quella di convogliare più visitatori verso i musei, no! Il loro impegno, il loro l’intento era anche quello di migliorare, in futuro, l’offerta enogastronomica dei musei creando nuove e felici sinergie sull’esempio voluto, in primis, dalla città di Lucca, la Città delle Cento Chiese, e non solo.
Al Lucca Center of Contemporary Art, il viaggiatore goloso, ci era arrivato il 5 di marzo scorso. Consigliato e guidato dall’amico scultore Renzo Maggi, aveva visitato l’esposizione la tela violata, che presentava opere d Luciano Fontana, Piero Manzoni, Alberto Burri e altri. Poi, insieme a Renzo, è salito al primo piano dello storico Palazzo Boccella, in una sala cangiante dove si avvicendano gli allestimenti. Qui lo chef Tomei propone ai suoi clienti, un percorso culinario in continuo divenire. Tant’è, che non c’è il menù. A parte i ravioli ripieni di olio e parmigiano e il manzo crudo sulla corteccia (due classici sempre disponibili), l’esperienza al ristorante l’Imbuto è una sorta di entusiasmante jazz-session. In quel giorno, al viaggiatore goloso, è capitato di trovare nel piatto anche una polpettina di seppia – marinata, battuta e poi passata al tritacarne – accompagnata da una salsa sifonata di carpione con cervello di vitello fritto. Il tutto chiuso in una cialda di grano arso. Ma si può optare anche per una sola minestra di riso Carnaroli con mandorle e katsuobushi di polpo.
Se questa è Lucca, in Piemonte, fuori Torino, accanto al Museo d’Arte Contemporanea nel Castello di Rivoli, il Combal Zero, è il palcoscenico ideale per l’eccletticismo e l’intelligenza culinaria del top chef Davide Scabin. E poi a Milano c’è Giacomo Arengario, dentro il Museo del Novecento. Mentre a Firenze è d’obbligo una sosta al caffè ristorante del Gucci Museo, con vista su Piazza della Signoria, prima di approdare a Roma all’Open Colonna del Palazzo delle Esposizioni, che è il Regno dello chef-imprenditore Antonio Colonna, che a pranzo, vi consiglia il suo piatto preferito: Negativo di Carbonara. E mentre la si mangia, sulle tovagliette di carta ben in vista sul tavolo, il cliente può scoprire il calendario delle esposizioni. Ma per chi si trovasse a Venezia o in un’altra città del Veneto, il viaggiatore goloso, consiglia di fare una tappa a Padova: fino al 29 di gennaio, a Palazzo Zabarella rimane aperta la bellissima mostra: L’Impressionismo di Zandomeneghi, artista veneziano, vissuto molti anni a Parigi, amico di Renoir e Degas. Poi nella sala stile Liberty del Caffè- Ristorante Pedrocchi, Caffè Storico di fama internazionale, si può gustare un risotto al radicchio tardivo di Treviso, una Pasta e Fasoi, magari due pappardelle ai fegadini o una faraona in salsa Peverada, innaffiando il tutto con una eccellente bottiglia di Valpolicella Classico, come faceva il grande Stendhal, ogni qualvolta che da Parma si spostava nel Veneto e che ha scritto quanto segue: “È a Padova che ho incominciato a vedere la vita alla maniera Veneziana, con le donne sedute nei caffè. L’eccellente ristoratore Pedrocchi, il migliore d’Italia”.


La Ricetta
Lobster alla Newburg
Nel 1890, il ristorante Delmonico’s di New York battezzò questo piatto col nome del suo padrone, Lobster Wenberg. Poi Delmonico e Wenberg litigarono e il piatto cambiò nome.

Ingredienti

1 astice o una aragosta da 750 g – 1 kg, 50 g di burro, ½ tazza (125 ml) di panna, 60 ml di sherry, una spruzzata di salsa tabasco, sale e pepe macinato, 2 tuorli leggermente battuti.

Come si prepara
Delmonico toglieva la polpa dall’aragosta e la tagliava a fette grosse di 1 cm. Fondeva il burro in una padella a fiamma media. Aggiungeva la polpa dell’aragosta (astice), rimuovendo la polpa per 3 minuti. Aggiungeva la panna e lo sherry. Portava a bollore, abbassava la fiamma e sobbolliva, scoperto, riducendo il liquido a metà. Aggiungeva la salsa Tabasco. Salava e pepava secondo il gusto. Riduceva la fiamma al minimo. Mescolava i tuorli a due cucchiai della salsa di cottura. Versava nella padella e cuoceva fino a che era leggermente addensato, da 2 a 3 minuti. Non portava a bollore, ma portava a tavola ancora calda.

Il Vino
Ad un piatto nato negli USA, un Vino bianco degli Stati Uniti d’America: Chardonnay Napa Valley, Mitch Cosentino Winery, Napa, California. 

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