Quando dico cuffie non mi riferisco ai graziosi copricapo, solitamente color pastello, con i quali si usa coprire la testolina dei neonati. Non mi riferisco nemmeno alla calotta di gomma, austera o fiorita, indossata da nuotatori o nuotatrici, per evitare che filamenti della loro chioma finiscano in bocca a chi sguazza dopo di loro, oppure – per quanto riguarda le signore - per salvaguardare la messa in piega.
Mi riferisco invece all’aggeggio che orna sempre più spesso da qualche anno le orecchie di molti umani, giovani e meno giovani: un artefatto formato da due auricolari uniti tra loro da un supporto ad arco. Spesso è assai costoso e rapidamente obsoleto, poiché le mode impongono di variare con frequenza modelli, colori e fogge. Si direbbe che sia ormai una sorta di complemento naturale di molte teste maschili e femminili. Una parte irrinunciabile dell’identità sociale e personale. Ovviamente, non è la prima volta nella storia che un oggetto che portiamo su di noi diventa un simbolo importante da esibire per affermare il proprio status sociale oppure per valorizzare la propria mascolinità o femminilità.
Per quanto concerne la mascolinità, a seconda delle epoche, questa si è spesso espressa attraverso accessori capaci di esaltare più o meno simbolicamente talune virtù virili. La spada ad esempio ha rappresentato per secoli non solo un’arma da usare in battaglia ma un simbolo di ardimento, di potenza offensiva, di forza difensiva e di virtù cavalleresche. Pietra angolare di miti e leggende, essa è stata al centro di epopee narrate nei secoli. Basta ricordare Excalibur, la spada magica per eccellenza capace di rendere invincibile il guerriero a cui fosse permesso di brandirla. Anche i governanti moderni probabilmente sognano (senza confessarlo) di possederla. Esiste però, come ben sappiamo, anche la spada di Damocle. Essa rappresentava le responsabilità derivanti da un grande potere gravate sempre da ingenti rischi (chissà se lo sanno i governanti?) e, per estensione, oggigiorno simbolizza qualsiasi pericolo incombente.
Nel mitico Far West gli eroi non si separavano mai dalle loro Colt. Centinaia di film ci mostrano cow-boy e cittadini esibire con orgoglio cinturoni e pistole dai tamburi rotanti. Quando qualche figura eroica decide di circolare disarmata, alla fine del film è immancabilmente costretta a rispolverare la sua canna per una nobile causa. Oggi per le nostre strade non si vedono uomini con spade e pistole. Non sappiamo però quanti coltelli si nascondono nelle varie tasche.
A quali oggetti invece le donne hanno affidato nel corso di secoli l’esaltazione della loro identità femminile? I gioielli sono da sempre l’ornamento che permette non solo di esaltare la bellezza di volti e corpi di dame di vario rango, ma di mostrare al mondo il proprio potere di seduzione, adorazione di cui si è oggetto e l’appartenenza a determinate classi sociali. In epoca moderna altri manufatti sono diventati oggetti di culto emblematici per ragazze di ogni età: le borsette, ad esempio. Alcune donne sono disposte a spendere grandi energie di ogni tipo soltanto per arrivare a possedere una borsa Hermes o Louis Vuitton. Certo, la moda ci mette a disposizione oggetti del desiderio di grande bellezza. A volte vere e proprie opere d’arte. Tuttavia, il valore di una donna non è mai racchiuso in una borsa.
Tornando alle cuffie, esse appartengono ormai di diritto agli oggetti di cui sembra non si possa più fare a meno. Sui mezzi di trasporto, in strada, in casa sono sempre più numerosi gli uomini e le donne che circolano con la testa compressa da cuffie di ogni sorta. La funzione dichiarata è che servono ad ascoltare musiche varie. Ma svolgono anche molte altre funzioni implicite (elefanti invisibili): di status symbol per chi può permettersi questa o quella marca di successo; di pinze ipnotiche capaci di bloccare l’uso del cervello per ragionare; di stimolo per i patiti del jogging; di strumento capace di emettere messaggi del tipo: non mi rompere, non voglio parlare con nessuno, non ho bisogno di comunicare.
Gli adolescenti ne fanno un grande uso. Una delle scene moderne più frequenti è la seguente: papà o mamma o i nonni invitano il/la teenager di casa a venire a tavola. Dalla sua camera nessuna risposta. I decibel della chiamata salgono sempre più nella vana speranza che venga sentita. Si entra allora discretamente nella tana anche senza il rituale “avanti!” e ci si avvicina alla creatura perennemente incuffiata e dalla testa dondolante ritmicamente. Si ripete l’invito a distanza ravvicinata. Nessuna reazione. Presi dalla disperazione comunicativa i familiari strappano le cuffie dalla sua testa. La reazione gestuale e verbale del soggetto è rapida e furiosa, come chi vuole impedire che gli cavino una parte vitale di sé. Finisce però per capire che un lauto pasto lo attende. Allora cede, ma non del tutto. Le cuffie rimangono comunque appoggiate sulle spalle mentre assapora le portate.