Ad Amatrice nove mesi dopo la prima scossa di terremoto

Testo: Giangi Cretti
Foto: Niccolò Cacace

Nel borgo, o meglio in quel che resta di quello che fu un borgo, considerato fra i più belli d’Italia, fino a nove mesi fa conosciuto urbi et orbi per una celebre ricetta di pasta, c’arriviamo per formalizzare la consegna di apparecchiature medico-sanitarie acquistate con i fondi raccolti in occasione della serata organizzata dalla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera lo scorso 3 dicembre a Zurigo.
Accompagnatori d’eccezione: il Generale Sergio Santamaria, comandante in capo delle forze armate attive sul cratere del terremoto e Monica Dialuce, Ispettrice Nazionale del Corpo delle crocerossine, artefici in prima persona, non solo della cerimonia di consegna delle apparecchiature, ma anche dei rapporti con gli operatori del territorio che ne hanno consentito la loro individuazione.


“Prenda a sinistra, imbocchiamo la Romanella. È un bypass che abbiamo costruito dove c’era un viottolo di campagna, perché la strada che immette al paese è interrotta”.
Fuori dal finestrino intravvediamo un cartello stradale con scritto “Ponte della Rinascita”; sotto una precisazione: “questo ponte si chiama così perché da oggi inizia una nuova vita”.
È uno dei collegamenti costruito in tempi brevissimi dal Genio, insieme alla Protezione civile, ai Vigili del fuoco e all’Azienda strade Lazio, dopo che il terremoto aveva reso inagibile, tra gli altri, il vecchio ponte “tre occhi” che assicurava il collegamento tra Amatrice e la via Salaria. Quest’ultima struttura, a carattere permanente, assicura il passaggio anche dei mezzi pesanti.
La voce narrante è quella del generale Santamaria, comandante in capo delle forze armate dislocate sul cratere. Non siamo su un vulcano, ma nel mezzo dell’ampia zona devastata dai terremoti che, in tragica successione, lo scorso autunno, hanno colpito il centro dell’Italia.
È seduto di fronte a noi, in una pratica tuta mimetica, sul furgone della Croce Rossa, che ci sta portando ad Amatrice. Al suo fianco: Sorella Monica Dialuce, Ispettrice Nazionale del Corpo delle Crocerossine. Sono loro gli artefici di questa nostra rapida incursione, organizzata per formalizzare la consegna di apparecchiature medico sanitarie acquistate con i fondi raccolti in occasione della serata promossa dalla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera lo scorso 3 dicembre a Zurigo.

Napoletano d’origine, alpino per elezione, piemontese per amore
Con le sue doti di affabulatore - napoletano “che ha fatto la scuola sottoufficiali a Rivoli e ha sposato una piemontese” - il generale del corpo degli Alpini, ci spiega, con dovizia di particolari, cosa sia successo in questi 9 mesi, precisando che “quello che racconto è una mia visione personale e comunque non rende l’emozione che si prova ancora oggi solo attraversando la cosiddetta zona rossa”.
Ci parla delle oggettive difficoltà: dopo la prima scossa del 24 agosto, “che ha avuto come epicentro i comuni di Amatrice, Accumoli ed Arquata del Tronto, ma che ha arrecato danni anche in vaste aree confinanti delle regioni Umbria e Abruzzo” si sono succedute quella del 26 e, ancor più forte, quella del 30 ottobre. Conseguenza: una sfasatura delle operazioni d’intervento e, in taluni casi, tutto quello che era stato fatto in due mesi non serviva a nulla, per cui “si è dovuto ricominciare da capo”.
Accanto alle operazioni di salvataggio, ma anche dell’installazione dei sistemi abitativi emergenziali, della distribuzione del cibo, del ripristino della viabilità, della costruzione di strade, ponti e persino scuole prefabbricate, la gestione del cratere ha comportato azioni “di antisciacallaggio – in verità veri e propri casi non ce ne sono stati – ricorrendo anche all’impiego di droni con tecnologia a rilievo infrarossi utili per il monitoraggio delle aree sgomberate, anche di notte”. A tutto questo si aggiunge l’immane lavoro nel tentativo di evitare che il grande patrimonio di interesse storico e artistico finisca nelle discariche. “Oltre agli affreschi, in Palazzi d’inestimabile valore abbiamo recuperato perfino libri e documenti risalenti al 1300”.

Quattro Regioni, una decina di Province, 300'000 abitazioni
Sbagliato, secondo il generale, addossare responsabilità all’amministrazione pubblica. Anche se noi, pensando alla tragica vicenda dell’albergo di Rigopiano, con la percezione di chi ha seguito la vicenda attraverso lo schermo televisivo, dobbiamo confessare che l’idea non ci sembra del tutto infondata.
Ovvio, conviene il generale: tenuto conto che il sisma alla fine ha interessato 4 Regioni, una decina di Province, 300'000 abitazioni, che la Protezione civile non ha un coordinamento nazionale, bisogna ammettere che armonizzare in modo efficace tutti gli interventi non è stato semplicissimo. Ma il vero problema è stato la violenza del terremoto, la sua successione in tre momenti culminanti, il costante sciame sismico che li ha accompagnati prima e dopo, l’orografia del territorio - siamo sull’altipiano dei Monti della Laga preludio al Parco Nazionale d’Abruzzo e al Massiccio del Gran Sasso – il clima che mai come in quest’inverno si è mostrato privo di qualsiasi clemenza. Dopo di che, certo, responsabilità le possiamo trovare anche in noi stessi: noi italiani siamo irreprensibili nella cultura dell’emergenza, molto meno in quella della prevenzione. “Siamo bravi a spalare il fango, molto meno a tener pulito il etto del fiume”, chiosa il generale.
Rievocare il terremoto del Friuli, come buona pratica di efficienza in fase di ricostruzione, è spunto per una puntuale precisazione. La rimozione delle macerie e lo smaltimento dei rifiuti oggi deve rispettare normative molto più stringenti in materia di sostenibilità ambientale. In altre parole: “non si può fare una buca e seppellire tutto”. Bisogna separare, distinguere, differenziare, senza contare che in quelle macerie ci sono le storie di tante vite, molte delle quali, 239, sono andate perse.
E la ricostruzione? Qui il generale Santamaria diventa più laconico. Tempi lunghi: 15 anni, forse di più. Molto dipenderà da cosa, come e quanto si vorrà ricostruire. Ma questo non sarà più un compito della brigata che comanda il generale Santamaria.
Per ora un primo risultato sono le cosiddette SAE (soluzioni abitative d'emergenza). Casette prefabbricate di dimensioni varianti. Una trentina – ma altre sono in fase di costruzione - consegnate ad Amatrice ad altrettanti nuclei familiari, selezionati sulla base di una procedura denominata "sorteggio a domanda".

Il PASS e il CUP
Nel frattempo, Arriviamo ad Amatrice. In quella, intuiamo, che doveva essere la zona moderna. Palazzine diroccate, due enormi complessi abitativi semi crollati, separati da una chiesa visibilmente lesionata, puntellata ed impacchettata, che scopriamo essere stati fino all’agosto scorso due case di riposo. Tutt’attorno: mezzi pesanti e un piazzale con dei prefabbricati. È il centro di primo intervento. Garantisce l’assistenza medica a chi risiede in zona - al momento, meno di 500 persone sembra a cui si sommano quelle che ancora abitano nelle 70 frazioni che fanno capo ad Amatrice - visto che quel che resta dell’ospedale, che vedremo più tardi, nella parte bassa del paese, è chiaramente inagibile. E non si capisce come mai potrà tornare ad esserlo. Agibile intendiamo.
Ad accoglierci troviamo il picchetto d’onore dell’esercito e delle Crocerossine, e il personale sanitario: 5 signore, in realtà sarebbero 6, ma la responsabile, ci dicono, è dispiaciuta ma è ammalata, troverà comunque il modo di farsi viva più tardi per telefono. Sono di Amatrice e quotidianamente prestano servizio, presso quello che qui chiamano confidenzialmente PASS (acronimo che sta per: Punto di Assistenza Socio Sanitaria) che al contempo funge anche da CUP (Centro Unico di Prenotazione). In paese non hanno più casa e risiedono, come d’altronde la maggior parte degli (ex) abitanti, dov’è possibile. Una di loro addirittura ad Ascoli Piceno: tutti i giorni deve sorbirsi 170km al mattino e altrettanti alla sera, lungo una strada che in queste zone non è che corra lunga diritta.
Ci mostrano con legittimo orgoglio, come da un assemblaggio di prefabbricati siano stati realizzati la sala d’attesa, quella di prima consulenza, l’ambulatori per le visite, con quello pediatrico che ha un suo spazio separato, il laboratorio per i prelievi. Insomma, una struttura che può garantire appunto un centro di prima assistenza. Come riferimento hanno gli ospedali dislocati nelle varie provincie. Primo fra tutti quello di Rieti.
Una giovane donna con una bambina entra nel centro, in quel momento la loro presenza conferisce alla situazione una parvenza di normalità.

“La vostra solidarietà è la nostra speranza per il futuro”
Nel piazzale accanto a prefabbricato sono schierati i picchetti d’onore dell’esercito e delle Crocerossine e un piccolo assembramento di operatori e di volontari. Il generale Santamaria prende il microfono e con malcelata emozione, sobrietà ed efficacia illustra le ragioni di questa semplice cerimonia, invitando gli ospiti a prendere la parola.
Il Presidente della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera, Vincenzo Di Pierri, sottolinea come il dramma vissuto nella zona abbia creato un’enorme ondata di commozione, che si è tradotta in tangibili segni di solidarietà espressa da ogni parte del mondo. Anche dalla Svizzera, e, nel caso specifico, quello che si è concretizzato con l’acquisto degli holter, sei in tutto - che sono sistemi di gestione, archiviazione e refertazione remota via web (in parole povere: strumenti che consentono di monitorare il cuore e la pressione sanguigna in tempo reale, senza che il paziente, che dette apparecchiature indossa, debba recarsi presso un ospedale o una struttura sanitaria) – è il risultato di una raccolta fondi promossa a Zurigo dalla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera con il sostegno di sponsor e privati cittadini. Di Pierri ringrazia anche la ditta produttrice degli holter, la Futura Life Homecare, che ha contribuito applicando un prezzo di tutto favore, e il generale Santamaria e la sorella Dialuce, in quanto per loro tramite, coinvolgendo gli operatori locali, si è individuata l’apparecchiatura che si è ritenuta più idonea.
Sul tema della solidarietà delle comunità all’estero si è soffermato anche l’onorevole Alessio Tacconi, parlamentare italiano residente in Svizzera, che si è detto onorato di trovarsi coinvolto in prima persona in questa nobile iniziativa.
La parola è passata poi al sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, il quale, ricordando i lunghi mesi di sofferenza, con il pensiero rivolto ai suoi concittadini, si è detto grato di tutte queste concrete testimonianze di sostegno, che nel corso dei mesi sono andate via via moltiplicandosi e che gli hanno permesso di scoprire un mondo: quello dei volontari e delle comunità italiane all’estero di cui, fino al momento del terremoto, non era pienamente consapevole.
Infine, le parole commosse ed accorate di chi le apparecchiature donate le utilizzerà: le operatrici del PASS: “voi non potete immaginare quanto questa partecipazione, questo sostegno, questa vicinanza riscaldi i nostri cuori e quanto rafforzi il nostro coraggio e ci dia speranza per il futuro”.
Dello stesso tenore l’intervento del cardiologo dell’ospedale di Rieti, che con la sua presenza ha voluto sottolineare il valore della donazione.

Attraversando la ‘zona rossa’

Il tempo per un caffè e un dolce, per qualche foto per l’album dei ricordi e i saluti che ha questo punto non sono più formali.
Ed ecco, il generale Santamaria che ci segnala che dobbiamo rientrare. Forse ce la facciamo a gettare uno sguardo nella cosiddetta ‘zona rossa’ ancora off limits in quanto sono ancora in corso operazioni di sgombero. Essere il comandante in capo, vuol comunque dire qualcosa ed eccoci transitare per quello che era il Corso Umberto primo, che divideva in due il centro storico di un paese che veniva considerato un scrigno medioevale. Attorno a noi macerie nel quale individuiamo suppellettili che sono scampoli di vita quotidiana, che per moti, troppi ormai non è più. Ecco allora che ritornano alla mente le parole con le quali il generale Santamaria aveva iniziato il suo racconto “quello che riporto è una mia visione personal e comunque non rende l’emozione che si prova ancora oggi solo attraversando la cosiddetta zona rossa”.
Stiamo uscendo dalla ‘zona rossa’ ed ecco un piccolo drappello, diligentemente munito di casco di protezione, che ci viene incontro. Nel gruppetto, un volto conosciuto. È il regista Gianni Amelio. Ci avviciniamo, Un rapido scambio di saluti e una domanda sorge spontanea: come mai qui?
Un giovanotto, mi prende da parte e confida: “sta facendo un sopraluogo per realizzare un corto. È un’idea di Rai Cinema, ma non si deve ancora sapere”.
Lui non sa chi sono io. Nel senso che non sa che ha affidato questa confidenza ad un giornalista, che notoriamente lascia anonima la fonte e rivela il fatto.

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