Che fretta c’era?

di Tatiana Gaudimonte

“…maledetta primavera!” È inutile che adesso facciate finta di niente, vi ho sentito mentre la canticchiavate!
Però questo articolo non riguarda la primavera (sarei parecchio fuori stagione, come le fragole che campeggiano ancora nei supermercati), bensì la fretta. Direte: ma tu non dovresti essere qui per parlare di nutrizione? Al tempo, ci arrivo. Abbiate fede.
Siamo in un mondo che corre, vola, dove sembra vigere un nuovo detto: un secondo risparmiato - anziché un soldo - è un secondo guadagnato.
Il multitasking è la nuova religione: non se ne parla di fare le cose per bene, una per volta e, come Mr. Bean che si lava i denti mentre guida, usando il liquido per il parabrezza per fare i gargarismi e radendosi guardandosi nello specchietto retrovisore, ci affaccendiamo come formiche senza sosta dalla mattina alla sera.
Perché? Perché vogliamo (dobbiamo) ottenere risultati velocemente, che diamine!
Come vedete, sto usando la prima persona plurale perché, come spesso faccio quando scrivo, includo me stessa con tutte le scarpe, anch’io presa, come voi, tra mille faccende, richieste dei figli, scadenze, appuntamenti e quant’altro.
Ma davvero tutti quei minuti che riempiamo fino all’inverosimile, pigiandoci dentro cose da fare come vestiti da mettere in valigia, sempre meglio uno in più che in meno perché non si sa mai, ci consentono di avere più tempo? O meglio: siamo ancora capaci di concederci del tempo? E ancora: siamo ancora capaci di dare fiducia al tempo, ossia di aspettare che le cose accadano secondo il loro corso naturale?
Francamente, almeno a sfogliare i ricordi relativi a diverse consulenze a cui ho lavorato nell’ultimo anno, ne dubito.
L’inizio, come è giusto che sia, è sempre pieno di entusiasmo e di buoni propositi. Entusiasmo che si moltiplica davanti alla prospettiva di non dover pesare niente, di poter mangiare a sazietà e di procedere per gradi (“eh, giusto! Altrimenti sarebbe troppo stressante!”). Quindi via, iniziamo a togliere zuccheri a farine raffinate, a fare movimento in modo regolare, ad introdurre rotazioni dei cibi che possono dare fastidio, in modo da risolvere le intolleranze. Insomma, iniziamo a scavare le fondamenta su cui costruire il nuovo stile di vita. Bello, bellissimo. Ma se dopo sei settimane non si sono persi dieci chili, o non si è ancora riusciti ad essere del tutto indipendenti dalle bevande dolcificate…eh beh, allora perché continuare?
Insomma, è un po’ come se molti immaginassero il corpo dotato di interruttori che, appena premuti, diano subito il risultato voluto. Non è così. Pretenderlo sarebbe come prendere un bambino di prima elementare, metterlo in una classe del liceo e pretendere che a fine giornata abbia preso almeno un sette. Magari può anche farlo, messo sotto torchio, ma con quali conseguenze a lungo termine? Così come rispettiamo i tempi di crescita di un bambino, permettendogli di imparare i cambiamenti che man mano incontra, dobbiamo applicare la stessa sensibilità anche al nostro organismo che, magari abituato per anni agli eccessi, oppure alle rinunce, deve gradualmente essere rassicurato e rieducato, perché possa rifiorire a nuova vita.
Se quindi siete dell’avviso di intraprendere un cammino di rieducazione alimentare, vi esorto a ricordarvi, come faceva mia mamma, che “non vi corre dietro nessuno”.

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