Vivo, penso e mi esprimo attraverso questa dimensione
di Valeria Chiantese
Daniela Moretti, in arte DAZ, nasce in un paesino del Sud Italia nel 1978. Da sempre nutre un forte senso di appartenenza e una grande passione verso il mondo dell’arte in tutte le sue forme, ma il suo desiderio di espressione trova un compimento totalizzante proprio attraverso la scultura e la pittura.
Daniela viaggia molto, accumula esperienze di vita, attinge linfa vitale dalle miriadi di potenzialità che la vita può offrirti quando cerchi nuovi stimoli in luoghi che non conosci. Ma questa ricchezza di visione non è vana, non si estingue nei passaggi di tempo, ma lascia una traccia nelle sue opere, rappresentative di quel sentimento scatenante il flusso artistico, che, a sua volta, può ingenerare processi di fruizione nell’altro da sé.
Abbiamo voluto approfondire il mondo interiore dell’artista Daz attraverso la seguente intervista.
Chi è l’artista DAZ?
Al secolo sono Daniela Moretti, ma ad un certo punto della mia adolescenza ho deciso che mi sarei ribattezzata da sola con un nome nuovo, una sillaba sola che potesse definirmi e di conseguenza, da circa 25 anni, DAZ è il mio vero nome.
Ho sempre amato l’arte in tutte le sue forme espressive, ma alla base di questa predilezione c‘è sempre stato l’amore per la filosofia, intesa come ricerca costante dei perché dell’essere umano, del suo agire, dei suoi impulsi e dei suoi limiti.
Mi sono laureata in Lettere e Filosofia alla Sapienza di Roma con una tesi sulla poesia contemporanea. Era infatti la poesia che all’epoca consideravo un medium ideale, il connubio perfetto tra filosofia ed arte, tesa a quella ricerca che tanto mi stava a cuore. Ma ad un certo punto della mia crescita spirituale ho scoperto la parola stessa, anche quando poetica, essere di troppo in questo processo di conoscenza. Mi sono allora affidata all’arte visiva, all'immagine, ai suoi pieni di forma e di colore, e mi sembra ancora a tutt‘oggi essere questa la soluzione migliore per la mia ricerca. Posso quindi affermare di essere una pittrice e una scultrice per necessità esistenziale.
Quando, in che modo e perché è cominciato il suo percorso artistico? E Che ruolo ha assunto l’arte nella sua vita?
L’espressione artistica ha sempre avuto un ruolo importante nella mia vita, ma da 20 anni questo spazio è cresciuto esponenzialmente, diventando nell’ultimo decennio un rapporto totalizzante.
L’arte è la mia vita: vivo, penso e mi esprimo attraverso questa dimensione. Ogni mia opera parte da una ricerca, un pensiero, un oggetto mentale e ragionato che solo in un secondo momento diventerà forma visiva, che sia pittorica o scultorea.
Trovo interessante che ad ogni mia mostra o presentazione di un nuovo progetto le persone si chiedano il perché delle mie scelte espressive, che rimangano incuriosite e abbiano bisogno di tempo da dedicare all'elaborazione delle mie creazioni. Credo che l’arte debba provocare il desiderio di una profonda meditazione. La mia ambizione maggiore è che lo spettatore si ponga delle domande, che trovi uno spazio dentro di sé da dedicare a questa riflessione. Il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo e quando qualcuno ti dedica questo tempo, ti sta offrendo un dono. Questa credo che sia la massima gratificazione per me come artista.
Quali sono i modelli a cui si ispira nelle sue opere?
In realtà, non ho un modello di riferimento preciso. Perché tutto ciò che mi circonda può diventare uno stimolo, un'urgenza, una possibile via da percorrere.
In questo momento per esempio sono affascinata dai chopper, dall’amigdala in mano ai primi uomini che utilizzarono queste pietre, da principio come utensili necessari che poi, nel tempo, trasformarono in espressione artistica. Tra i pittori amo Giotto, i Fiamminghi, lo Jugendstil, l’Espressionismo tedesco, il Cubismo e sino all’Astrattismo. Ogni artista, anche se sconosciuto, quando mi lascia una forte impressione, diviene parte di me e quindi del mio lavoro.
Tra i suoi lavori, quale crede sia l’opera che maggiormente la rappresenta?
Come artista lavoro su progetti proponenti temi diversi che ritornano continuamente e si dipanano nel filo rosso sotteso a queste opere. Quindi direi di non avere un’opera che maggiormente mi rappresenti, bensì in ognuna di esse c’è qualcosa di molto personale che ho in qualche modo deciso di rendere manifesto.
Lei è un’artista che spazia molto nell’utilizzo di materiali, colori e simboli. Quali sono le modalità espressive che predilige, e in che modo sono associate ai suoi stati d’animo?
Nulla di più vero, amo infatti spaziare nelle mie opere con tecniche e modalità diverse, perché ogni idea che esprimo ha bisogno di una manifestazione a mio avviso coerente con quello che sento. A ben vedere però possiamo scorgere degli elementi comuni, che ritornano e creano, diciamo così, quello che può essere definito il mio stile.
Nei miei quadri le figure sono sempre in primo piano e a tutto campo, l’utilizzo di linee verticali mi aiuta a creare quella ieraticità e compostezza che cerco di esprimere. La composizione cromatica piuttosto scura, fatta visibile attraverso una assenza di luce ben definita, mi permette di mantenere un ritmo cadenzato, quasi come una marcia trionfale. Questo ritmo solenne spesso mi ispira ad utilizzare figure simmetriche e a prediligere composizioni lineari e geometriche.
In altri quadri però la ricerca di una suggestione materica, dovuta alla sovrapposizione di colore, la graffiatura o la scalfittura dell’impasto pittorico divengono un rimando necessario al mio lavoro scultoreo. Parlo di richiamo essenziale perché, ogni volta che creo il bozzetto di una scultura o di un'opera pittorica, queste figure emblematiche prendono immediatamente vita e trovano il loro spazio nella concrezione dell’argilla o sullo spazio-tela: sono un dramma che si anima, una storia che prende a raccontarsi.
La parte simbolica è imperante nei miei lavori. Ogni simbolo evoca una visione, un ideale, un sentimento che io desidero comunicare ed è appunto grazie all’elemento simbolico che questi divengono immediatamente universali e comprensibili, fruibili dallo spettatore.
Nella parte simbolica della mia pittura nascondo, come in un gioco di specchi, il mio sentire, la visione esistenziale che è in me. In questo senso è il pubblico che deve trovare lo spazio, e il tempo, dentro di sé, per arrivare a riunire il simbolo (dal greco simballein -sym ballein-, mettere insieme), ovvero coniugare l’emozione al messaggio subordinato.
Nell’illustrare il suo pensiero alla base del progetto “Piccola Cosmogonia” lei parla di un’esigenza filosofica, e fa riferimento all’eterno conflitto della natura umana, costantemente in bilico tra apollineo e dionisiaco. Lei ritiene che l’arte riesca a compiere questo processo di sublimazione in modo appagante, o siamo destinati a desiderare un bisogno eternamente incompiuto?
La sublimazione attraverso l’arte è qualcosa che rende un beneficio all’animo di chi la fruisce. A mio vedere l’artista, come tutti gli esseri umani, è costantemente in bilico tra l’apollineo e il dionisiaco, e tra il desiderio del divino e il suo contrario. Ma ne ha una consapevolezza altra, sì speculativa come il filosofo, ma poi anche fattiva, produttiva. L’artista ne percepisce le contraddizioni, il divario. Questo divario non è una separazione rigida e incolmabile. L’opera d’arte a mio avviso si colloca a metà strada tra l’elevazione del pensiero e la pulsione profonda. Proprio qui nasce la spinta all’opera d’arte, che collima questi due aspetti pacificando tanto l’artista quanto il suo pubblico.
L’arte, in questo senso, potrebbe essere salvifica e proficua, ma solo se ricambiata dal fruitore. In una società dove le immagini si sovrappongono ad una velocità piuttosto elevata sento spesso venire meno la fiducia nei benefici dell'arte, ma nonostante tutto non posso esimermi da ciò che faccio, perché questo è ciò che mi realizza, che mi compie nel mondo.