Di che grano è fatta la Pasta italiana?

di Domenico Cosentino

Dopo un tira e molla durato un anno, lunedì 20 novembre, i paesi dell’Unione Europea hanno votato a favore del rinnovo dell’autorizzazione del glifosato. Quindi il controverso erbicida, prodotto dalla Monsanto (possibilmente cancerogeno secondo alcuni studi, innocuo secondo altri) potrà essere ancora usato per i prossimi cinque anni fino al 2022 all’interno dell’Unione.
Un intreccio di interessi industriali, tradimenti politici e pressioni tecnocratiche ha portato a prorogare l’uso del potente e diffusissimo erbicida in Europa. La Francia e l’Italia hanno votato contro, e il nostro ministro dell’Agricoltura Martina ha dichiarato di avere già pronto un piano per uscire dal glifosato entro il 2020. Non ci sarà invece uno stop all’import dei prodotti trattati con l’erbicida, ma dal 2018 un nuovo sistema di etichettatura dirà ai consumatori da dove arrivano il riso, i pomodori, le carni, e, soprattutto, le farine e la pasta (con i 24 chili a testa l’anno siamo i primi consumatori al mondo), in modo da consentire loro di scegliere quali acquistare.

Un pezzo del nostro DNA alimentare è a rischio
Ma non solo consumatori sono gli italiani. Secondo la Coldiretti, dati alla mano, l’Italia è il maggiore produttore al mondo di spaghetti, penne, fusilli e rigatoni: nella magia del grano duro che diventa pasta, ne produce 3, 2 milioni di tonnellate all’anno, molte delle quali prendono la via dell’export. La pasta, inoltre, è anche una Passione-Abitudine che gli italiani hanno fin da piccolissimi: la pastina, le stelline, le tempestine, sono il cibo dello svezzamento, ed è un pezzo del nostro DNA alimentare tanto da farci riconoscere quella migliore: per colore, tenuta di cottura, profumo e consistenza.
Un successo, quello della pasta, che sta nel gusto ma anche nell’accessibilità economica e nella possibilità di creare velocemente e con pochi altri ingredienti un piatto buono e nutriente. In una parola: nella semplicità. Eppure, le coltivazioni di grano in Italia sono insufficienti, così siamo costretti a comprare all’estero tonnellate di chicchi, e l’alta qualità della pasta sembra a rischio, anche se i maestri pastai italiani giurano di no. Oggi, però, per molti consumatori italiani sempre più attenti alla qualità, non basta più la parola e la competenza che fa dei pastai italiani i maestri mondiali e della pasta un prodotto simbolo che dopo mille anni di ricerca e innovazione è stato strappato alla definizione di commodity. Per i consumatori sempre più attenti alla qualità valgono domande – quale grano, da dove proviene, com’è coltivato, che tipo di pasta mangiamo? – su cui orientarsi.

Divampa la polemica in tutta la Penisola
Da sempre ogni fazzoletto di terra della Penisola ha caratteristiche pedoclimatiche proprie e diverse, e oltre 200 varietà di grano (venivano) vengono coltivate. E nel registro nazionale e in quello europeo delle cultivar si va dall’A di Achille fino alla V di Virgilio passando per i nomi rassicuranti come il Rusticano, il Sant’Agata, il Saragolla e il Senatore Cappelli, annoverati tra i cosiddetti “Grani Antichi”, ma anche tra i più moderni. Tante le qualità, minore la quantità. Secondo uno studio del CRA, il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, “la prodizione nazionale di frumento duro è intorno a 4 milioni e copre il 60/70 per cento del fabbisogno dell’industria.” Un deficit produttivo che per i pastai italiani, riuniti nell’associazione Aidepi, è necessario colmare importando grano dall’estero. Ed è su questo che è divampata su tutta la Penisola una dura polemica: da mesi si assiste a una vera e propria battaglia del grano Da una parte Coldiretti a sostenere che solo il grano italiano vada usato per una pasta made in Italy, dall’altra Aidepi secondo cui l’italianità è data piùttosto dalla conoscenza e da metodi di prodizioni secondo la tradizione. Perché l’Italia da sola (a proposito di grano e farina) non può garantire né la quantità sufficiente né gli standard di qualità della migliore pasta del mondo. Rimandando al mittente anche l’accusa di comprare grano all’estero per risparmiare, perché quello canadese e francese costa il 20 per cento in più del nostro.

Carlo Petrini mette in discussione i grani stranieri
Ma la guerra del grano va oltre. Dopo Coldiretti, ecco il fondatore di Slow Food Carlo Petrini. Con una lettera al quotidiano La Repubblica dal titolo Il Glifosato e un’Europa senza visioni, il 27 di novembre 2017, ha messo in discussione anche la salubrità dei grani stranieri. Nel mirino c’è soprattutto il Canada e l’accordo commerciale globale Ceta “che garantisce dazi zero all’importazione di un milione di tonnellate di grano duro trattato con glifosato (l’erbicida del cui largo impiego in Canada non si fa mistero) addirittura in preraccolta, secondo una pratica che è stata vietata in Italia”. E nel concludere Carlo Petrini pone due domande: “Come sarà l’agricoltura del futuro? E se sarà mai possibile ridurre la sua indipendenza dalla chimica? Difficile rispondere! Il problema, a mio avviso, è anche politico, oltre che agronomico: il sistema alimentare per come lo conosciamo è quasi completamente fondato su input di sintesi chimica o derivati dal petrolio. È frutto di quella rivoluzione verde che ha trasformato, negli anni 50-60-70, il rapporto tra uomo e ambiente, tra cibo e ambiente.

La Pasta italiana fatta con grani super controllati

Ma l’associazione dei pastai rifiuta il ruolo di avvelenatrice e, per bocca di uno dei suoi soci, il produttore Vincenzo Divella, amministratore delegato del pastificio omonimo, fa dire che è ora di finirla: “Stop allarmismi – ha sostenuto - La Pasta italiana è fatta con grani super controllati. Intanto perché il ministero della salute ha stabilito che i livelli di glifosato riscontrati nei grani di importazione son ben al di sotto di quelli stabiliti dalle nostre leggi, che sono severissime. E i controlli della sanità marittima sono rigidi, non sbarca nulla se non analizzato. Poi è ora di finirla di fare polemiche perché ce lo chiedono anche i nostri clienti dall’estero, dove esportiamo tanto. A meno che – con gravi perdite - non si vuole dire ai nostri compratori che non possiamo garantir loro le quantità richieste. Dobbiamo prendere atto – conclude Vincenzo Divella – che il nostro grano italiano non basta, e anche noi che abbiamo una filiera controllata al 70 per cento in Puglia e Basilicata dobbiamo poi miscelare con un 10 per cento da Paesi extraeuropei e un 20 per cento dalla Franca”. La tensione intorno all’origine del grano, infine, s’intreccia poi sull’etichetta voluta dal Ministero dell’Agricoltura, ma che non piace ai produttori, in cui è d’obbligo indicare l’origine della materia prima. Nuova etichetta che non esclude le paste biologiche, la pasta fresca, quella gluten free, quella di farro e quella Igp, ciascuna regolata da altre norme. E quindi induce l’acquirente a scegliere in base all’origine e non alla qualità!



LA RICETTA
Pennette rigate da agricoltura biologica con riccioli di seppia

Ingredienti per 4 persone:
400 gr di seppia pulita, 360 gr di penne rigate biologiche, 80 gr di olio extravergine d’oliva, 1 peperone rosso, 1 peperone giallo, 1 scalogno, 10 cl. di vino bianco secco, 150 gr di pomodorini, 1 ciuffo di prezzemolo, 5-6 foglie di basilico, sale e pepe

Come li preparo:
Lavo i pomodorini, il prezzemolo e il basilico. Pelo lo scalogno e lo trito su un tagliere. Affetto i due peperoni. Taglio a julienne molto sottile anche le seppie. Taglio i pomodorini in 4-6 pezzi. Metto a bollire l’acqua della pasta in una pentola alta. Subito dopo metto a scaldare su una fiamma vivace e faccio scaldare la metà dell’olio. Aggiungo lo scalogno, i peperoni e, mezzo minuto dopo le seppioline e faccio cucinare sempre a fiamma vivace. Aggiusto con poco sale e pepe. Passati 3 minuti, sfumo con il vino bianco e faccio evaporare. Aggiungo i pomodorini e faccio cuocere leggermente. Appena bolle l’acqua, cuocio i rigatoni e li scolo al dente. Li verso nella padella e aggiungo un mestolo d’acqua. Faccio terminare la cottura pe altri due minuti. Aggiusto di sale e pepe, spolvero con il prezzemolo e il basilico tritato e servo a tavola.

Il Vino: SIRIO, Moscato Secco dei Colli Euganei, Az. Agricola Vignalta, Arquà Petrarca, Padova.

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