Donne in carriera: Cosima Buccoliero

"Nel mio mondo non c’è posto per le rinunce”
(Anche se poi magari succede…)

di Ingeborg Wedel

Cosima Buccoliero è nata a Sava (TA) il 21 settembre 1968. È laureata in giurisprudenza nel 1992 presso l’università degli studi di Bologna con una tesi in diritto penitenziario e abilitata all’esercizio della professione forense. È attiva nell’amministrazione penitenziaria dal 1997 e dal 2003 assegnata come direttore aggiunto all'istituto penitenziario di Milano -Bollate.
Sposata ha due figli di 5 e 8 anni.
“Mi sono appassionata al carcere sin dai tempi dell’università. Ho seguito diversi corsi e seminari che affrontavano tematiche sul mondo penitenziario. Mi piaceva l’idea di impegnarmi in un’attività che oltre a trattare questioni giuridiche si occupasse anche di questioni sociali e dei diritti delle persone”, ci confida prima di rispondere alle nostre consuete domande

Quante le è costato sentirsi apprezzata nel suo ruolo professionale in un ambito in cui siamo soliti vedere soprattutto uomini all’opera?
Il mio è un ambito di lavoro nel quale non ci si può mai rilassare. È necessario mantenere un ritmo elevato e un’alta concentrazione per conquistare consensi giorno dopo giorno.

Quali sono le principali difficoltà che ha incontrato?
Come in tutti gli ambienti di lavoro bisogna dimostrare le proprie capacità e competenze. Non posso negare che il lavoro in carcere presenta una serie di peculiarità. Il carcere è un luogo costruito da uomini per gli uomini; un luogo che non contempla la donna e le sue esigenze e che per tradizione ha sempre visto una scarsa presenza delle donne sia tra la popolazione detenuta che tra il personale, soprattutto nei ruoli di vertice. Per fortuna, negli ultimi tempi, le cose sono cambiate, perché sempre più sono le donne che si occupano di carcere e che portano all’interno dell’istituzione totale un’idea diversa di reclusione, una maggiore attenzione alle persone, una più acuta sensibilità.

Quando si è resa conto che nei suoi confronti non c’era più diffidenza?
Io credo che la diffidenza non si estingua mai; è solo nascosta e pronta a riemergere quando c’è l’occasione. Certamente, la fiducia e la conoscenza del capo, uomo o donna che sia, sono alla base del clima lavorativo e del rapporto di collaborazione con il personale. Tuttavia, se è la donna ad essere a capo, la fiducia va conquistata in ogni momento con la presenza costante e quotidiana.

Quali ostacoli ha dovuto superare, in quanto donna?

Per l’uomo manager è più facile farsi ascoltare dal personale e, di conseguenza, farsi seguire. Soprattutto se, come nel mio caso, si tratta prevalentemente di personale maschile, così come in prevalenza uomini sono i detenuti. La donna deve cercare un linguaggio appropriato che risulti immediato e diretto come quello degli uomini. Ha bisogno, quindi, di più tempo per arrivare al risultato che vuole ottenere.

Ritiene che il suo essere donna l’abbia svantaggiata?

Non mi sento di parlare di svantaggi. Difficoltà, certo. Ostacoli anche, ma se si lavora bene e si è concentrati si ottengono grandi successi.

Al contrario ha avuto dei vantaggi?

Come nella vita privata, anche nel lavoro, la donna investe moltissimo sul clima e sulla serenità dei rapporti con le persone con cui viene in contatto. Tutto ciò, contribuisce ad una migliore riuscita dei progetti e dei risultati.

Essere donna le ha comportato privilegi?
Non mi sento destinataria di privilegi. Forse, il privilegio sta nella possibilità di vedere le cose da una diversa angolatura. Non doversi necessariamente adeguare al consueto modo maschile.

Ritiene che l’intuito sia una dote soprattutto femminile?

Non so se questo sia vero. Sicuramente la sfera emozionale è più acuta e affinata nella donna. Forse è questo che favorisce le intuizioni.

Quanto conta nel suo ambito professionale l’arte della seduzione? per la donna in carriera. Anche allo stato inconscio.
Ognuno di noi mette in campo le proprie abilità e le proprie esperienze. La seduzione può aiutare a persuadere i propri collaboratori e a mediare i conflitti tra o con gli stessi. Una tecnica preziosa, insomma.

Qual è la soddisfazione maggiore?

Farsi riconoscere non solo per il proprio ruolo ma soprattutto per le capacità e abilità dimostrate.

Che atteggiamento assume nei confronti delle collaboratrici?
Non credo che l’atteggiamento sia diverso, almeno per me. Sicuramente, la presenza di altre donne contribuisce a rendere i rapporti meno formali e a lasciarsi andare - di rado, ma qualche volta accade - a qualche chiacchiera leggera.

A che cosa pensa di aver dovuto rinunciare per affermarsi professionalmente?
La donna, anche se in carriera, non vuole rinunciare a niente. E questo, almeno per me, è un punto cruciale. Ovviamente questo non è possibile, ma la tendenza c’è. Prima o poi, però, arriva il momento in cui si fa ordine nella propria vita e si definiscono le priorità. Dopo si sta molto meglio.

Una donna come lei, con le responsabilità e l’impegno che le derivano dal suo lavoro trova il modo di coltivare qualche hobby?
Ci sono cose delle quali non posso fare a meno. La lettura per esempio. Per il resto, come detto, cerco di non dover fare troppe rinunce. 

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