Donne in carriera: Simonetta Montaguti

«L'Antartide mi è entrato nel cuore »

Su questo numero ho la possibilità di farvi conoscere l’Antartide, un mondo ai più quasi sconosciuto e comunque la cui importanza relativa alle ricerche effettuate e quelle in corso con tanti sacrifici risulteranno vitali per il presente ed il futuro del Globo.
Abbiamo avuto il piacere di contattare telefonicamente Simonetta dall’Antartide per concordare con lei gli argomenti da esporre nell’intervista, certi che – con me –sarete sbalorditi e molto interessati.
Ma lasciamo che sia lei ad introdurci, rimandando al prossimo numero della Rivista le sue risposte alle nostre consuete domande
“Sono Simonetta Montaguti, ho quarantuno anni e sono nata a Forlì (FC). Laureata in Ingegneria Civile presso l'Università degli Studi di Bologna, ho un dottorato in Scienze Geodetiche e Topografiche e sono alla mia terza spedizione in Antartide, ed in particolare al mio secondo inverno nella base Concordia. Sto infatti per concludere la mia permanenza, a Concordia, durata 13 mesi, per gestire delle attività sperimentali meteo-climatiche, radiometriche e di caratterizzazione aerosol.
Fino al 2008 ho lavorato a tempo pieno nel campo della ricerca e successivamente mi sono dedicata alla libera professione come ingegnere civile cercando comunque di dedicare del tempo alla ricerca.
Nel 2006 ho partecipato alla mia prima spedizione in Antartide durante l'estate australe (novembre - febbraio) con il gruppo di Scienze Geodetiche e Topografiche dell'Università degli Studi di Bologna per seguire il Progetto VLNDEF (Victoria Land Network for DEFormation control) che si poneva come obiettivo il controllo delle deformazioni crostali della Terra Vittoria settentrionale in Antartide, attraverso le misure di una rete geodetica con strumentazione GPS. Durante questa missione ho conosciuto il gruppo del dipartimento ISAC (Istituto di Scienza dell'Atmosfera e del Clima) del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Bologna, grazie al quale sono ritornata in Antartide. Quando nel 2012 mi sono proposta a loro come "invernante" (sono chiamate così le persone che passano un inverno in Antartide), ho avuto la loro fiducia e dopo un periodo di affiancamento in Italia, presso il CNR di Bologna, ad Helsinki (poiché una parte della strumentazione è finlandese) e direttamente alla base Concordia, ho fatto il mio primo winterover nel 2013 ed ora il secondo.
I progetti che seguo sono denominati rispettivamente BSRN observatory (Baseline Surface Radiation Network), CoMPASs (Concordia Multi-Process Atmospheric Studies) ed Antarctica Meteo-Climatological Observatory, Meteo RMO.
Tutti i dati ricavati dalle attività sopra menzionate sono utilizzati per svariati scopi, quali ad esempio, fare previsioni meteorologiche a breve termine, realizzare modelli dell'atmosfera, studiare l'inquinamento atmosferico, studiare il buco dell'ozono e monitorare il suo cambiamento nell'arco dei vari anni, studiare il riscaldamento globale ed i mutamenti climatici a lungo termine.

Un meraviglioso laboratorio naturale

L'Antartide è un meraviglioso laboratorio naturale e può essere definito come la chiave dell'equilibrio climatico-ambientale del nostro pianeta. Infatti, ogni sua variazione di stato si ripercuote direttamente sull'equilibrio termico planetario, sulla produzione delle sostanze base della catena alimentare nei mari, sulla circolazione oceanica e atmosferica nonché sul livello dei mari.
L’Italia ha partecipato dal 1996 al 2005 al progetto EPICA (European Project for Ice Coring in Antarctica) che ha permesso, dalle analisi chimiche, isotopiche e fisiche delle polveri e dei gas contenuti nelle carote di ghiaccio lunghe fino a 3270 m, estratte presso la stazione Concordia, una ricostruzione paleo climatica dettagliata degli ultimi 800.000 anni. Da questi studi è emerso che le concentrazioni di anidride carbonica, di metano e di altri gas ad effetto serra erano molto inferiori rispetto a quelle odierne e che tutta l'umanità è quindi minacciata da un cambiamento climatico significativo ed accelerato.
Anche lo studio delle acque antartiche aiuta a comprendere i meccanismi che trasformano e plasmano l'ambiente attuale.
È evidente quindi che tutte le ricerche effettuate nel Continente ghiacciato risultano molto importanti per la vita su questo pianeta perché ci insegnano il nostro passato, il presente e quello che si dovrebbe fare per avere un futuro migliore.
Grazie ad un cielo terso per l'85% del tempo, alla mancanza d'inquinamento luminoso, all'eccellente trasparenza dell'atmosfera, l'Antartide, ed in particolare il sito di Dome C, risulta un luogo privilegiato per l'astronomia e l'astrofisica.
Tutti questi esperimenti, che fanno parte del mio lavoro, mi portano ad uscire dalla base almeno due volte al giorno per effettuare le sessioni di misure, la manutenzione e la rimozione della neve dagli strumenti, la movimentazione degli stessi e per effettuare ogni sera alle 19.30 locali il lancio di un pallone per il radiosondaggio meteo.
Tutti gli strumenti si trovano in un raggio di circa 1 km dalla base, distanza questa, che è la massima consentita durante l'inverno, essendo tutti gli spostamenti fatti a piedi poiché, da febbraio a novembre, qualsiasi veicolo non può essere utilizzato causa le basse temperature. E così, se dobbiamo trasportare del materiale verso gli shelter (laboratori esterni alla base) o da quest'ultimi alla base, ci dobbiamo attrezzare con delle piccole slitte trainate da noi stessi. E lo sforzo risulta essere notevole vista l'altitudine alla quale ci troviamo.
Una volta a settimana, durante il periodo invernale, assieme alla glaciologa francese Nicole Hueber, andiamo alla torre americana. Questa è una struttura alta circa 45 metri e formata da 25 piani sui quali sono collocati gli strumenti (centraline meteo, radiometri ed un albedo, che indica la quantità di luce assorbita dal nostro pianeta) che devono essere ripuliti dal deposito di neve per un loro corretto funzionamento.
La mia giornata lavorativa termina intorno alle 23.45, in quanto mi occupo anche di un Lidar, ossia un laser che permette di studiare le nuvole stratosferiche, probabili responsabili del buco dell'ozono, per il quale sono previste due sessioni di misure, rispettivamente alle 15.00 e alle 23.00, orario di Concordia.
L'Antartide mi è entrato nel cuore nel 2006 quando ho fatto la mia prima spedizione nella stazione costiera Mario Zucchelli ed ora, quando ne ho l'occasione, non rifiuto mai l’opportunità di ritornarci. Quello che mi ha spinto ad affrontare un secondo inverno in Antartide, dove l'incertezza è all'ordine del giorno e tutto è imprevedibile, dove tante sono le difficoltà ed i rischi ad esso connessi, è l'amore per la ricerca e per questo Continente che io reputo incantato.

Isolati da tutto

Concordia è una base di ricerca permanente internazionale cogestita da francesi ed italiani. Si trova sul plateau antartico, nel sito denominato Dome C, a un'altitudine di 3233 metri s.l.m. e dista circa 1200 km dalla costa e quindi dalla base italiana Mario Zucchelli.
La base è costituita da due torri cilindriche bianche e speculari; il tetto, le finestre e le varie finiture sono di colore arancione. Questo accostamento di colori è stato scelto per rendere la base facilmente visibile agli aerei, Twin Otter e Basler, che qui arrivano. Il primo viene adibito principalmente al trasporto del personale mentre il Basler è adibito sia al trasporto di persone che di materiali.
Le torri si ergono su tre piani e sono collegate da un lungo corridoio. I due edifici sono denominati rispettivamente "torre calma" e "torre rumorosa". Nella prima sono collocati l'ospedale, la sala mail, le camere da letto, la sala operativa e i laboratori, mentre nella "torre rumorosa" si trovano il workshop, l'ufficio tecnico, la palestra, la sala video, le dispense, la cucina, la living room e la sala mensa. Sulla porta principale della base, simile a quella di una cella frigorifera, è posta una targa, realizzata in legno, che ricorda la cogestione della base da parte degli italiani (Programma Nazionale di Ricerca in Antartide - PNRA) e dei francesi (Istituto Polare Francese Paul Emile Victor - IPEV).
Il sito di Dome C è un luogo isolato da tutto, un ambiente ostile dove le condizioni climatiche impediscono qualunque forma di vita animale e vegetale.
L'approvvigionamento e il collegamento della base vengono assicurati da diversi mezzi di trasporto, sia aerei che terrestri durante il periodo estivo. Gran parte del materiale viene trasportato per via terrestre dalla "traversa", convoglio di mezzi cingolati chiamata dai francesi raid, che, partendo dalla base francese Dumont d'Urville (DDU) posta sulla costa, attraversa tutto il plateau fino a raggiungerci con i rifornimenti (viveri, carburante, pezzi di ricambio o veicoli nuovi ed attrezzature scientifiche). Durante il viaggio di ritorno trasportano rifiuti, ma anche strumenti e materiali che devono ritornare in Europa. Vengono di solito effettuati tre viaggi durante la stagione estiva.
A Concordia tutte le acque di scarico, eccetto quelle nere, vengono riciclate, si produce compost e viene effettuata una raccolta differenziata molto minuziosa e tutti i rifiuti sono messi in cartoni al fine di essere facilmente trasportabili e smaltiti direttamente in Tasmania o in Francia. L'acqua potabile viene, invece, ricavata facendo sciogliere la neve in un particolare serbatoio denominato Fondoir.
L'energia elettrica ed il riscaldamento sono assicurati da tre generatori ordinari e da uno per eventuali emergenze. Al riscaldamento contribuisce anche la cogenerazione di due caldaie.
Verdura e frutta fresca terminano rapidamente nei primi mesi invernali e poi ci alimentiamo con prodotti congelati e surgelati. La varietà e la quantità di cibo presente in base è notevole ma il congelamento può modificare il gusto di qualsiasi alimento. Sta quindi nelle capacità del cuoco rendere gustose le pietanze.
Cucinare a Concordia non è una cosa semplice perché tutto è complicato dalla mancanza di umidità e dalla pressione atmosferica (mediamente 630 hPa contro i circa 1000 hPa a livello del mare) che, ad esempio, porta in ebollizione l'acqua ad una temperatura inferiore ai normali 100 °C.

Temperature fra i -35° e i -80°

Le temperature medie durante l'estate oscillano fra i -35°C e i -40°C mentre in inverno le temperature possono anche superare i -80°C.
Finora la temperatura minima registrata è stata di -81.5°C il 12 giugno 2016. È possibile nell'arco dei prossimi mesi che si superi il record di -84.7 °C registrato il 13 agosto 2010 a Concordia.
Queste temperature richiedono naturalmente un particolare abbigliamento. Ogni parte del corpo deve essere ben coperta per evitare, oltre al congelamento, anche ustioni dovute al freddo o ai raggi del sole “estivo” che risulta essere molto intenso a causa del buco dell'ozono e che obbliga l’utilizzo di una maschera o di occhiali con lenti ad alta protezione contro i raggi UV. Durante la notte polare si fa uso invece di una maschera trasparente. Solitamente l'attrezzatura che indossiamo - abbigliamento intimo tecnico, tuta in pile, giacca e pantaloni o tuta intera con piumino d'oca, due paia di guanti più un paio di muffole, doppio berretto, scaldacollo, due o tre paia di calzini e un particolare tipo di stivali (che dalla forma e dal colore bianco ricordano tanto quelli usati nelle prime missioni lunari!) - ha un peso che oscilla tra i 10 e i 12 kg. Inoltre, per motivi di sicurezza, non dobbiamo mai dimenticare la radio dotata di GPS e che ci permette di comunicare il nostro percorso e mantenere il contatto ogni 20 minuti col Responsabile radio-ICT-Telecom.
La bassa temperatura, il forte sole estivo e la notte polare non sono gli unici problemi da affrontare in quest’ambiente. Infatti, la base si trova ad una altitudine di 3233 m ma la rarefazione dell'aria tipica di queste altitudini (circa il 30% di ossigeno in meno rispetto il livello del mare) tende ad aumentare il disagio che si prova così da farci percepire un'altitudine corrispondente a circa i 3700 m delle nostre Alpi. Il cosiddetto mal d'altitudine si può manifestare con differenti sintomi e con un'intensità variabile da persona a persona: mal di testa, vertigini, nausea, vomito, affanno e senso di affaticamento, insonnia, apnee notturne, fino ad arrivare nei casi peggiori ad allucinazioni, edema polmonare e cerebrale. Questi sintomi si attenuano o spariscono nella prima settimana di permanenza a Dome C ma, sfortunatamente, per alcune persone questi problemi continuano anche per tutto l'inverno. Il senso di affanno, invece, non ci abbandona mai.

Oltre a quello fisico c’è lo stress psicologico

Oltre allo stress fisico, dobbiamo fare anche i conti con lo stress psicologico, dovuto fondamentalmente alla lontananza dai nostri cari ed all'impossibilità di condividere con essi i vari momenti della vita. Inoltre, l’euforia di essere stati scelti per una spedizione antartica ci può far credere di avere il giusto carattere per affrontare una simile sfida ma a volte ci si rende conto che non è così, sia per la situazione logistica sia per i rapporti interpersonali che si possono instaurare con gli altri colleghi. In questo continente, dove tutto è enfatizzato, possono nascere bellissime amicizie ma anche forti incomprensioni difficili da gestire durante tutto un anno.
Credo comunque che il quieto vivere in un ambiente così estremo e la buona riuscita di un winterover siano strettamente legati al carattere delle singole persone scelte per formare il team ed alle capacità e all'intelligenza di chi è stato incaricato di gestire il gruppo.
Se non si è veramente motivati e consapevoli di quello a cui si può andare incontro, difficilmente si riesce a passare, psicologicamente incolumi, l'anno.
Naturalmente esistono tanti aspetti positivi che aiutano ad affrontare un winterover ed ancora di più a farne due come la sottoscritta. La partenza dell'ultimo aereo con il personale estivo (avvenuta, nel mio caso, il 9 febbraio dello scorso anno) che dà inizio alla campagna invernale, è sempre un momento molto particolare e ognuno di noi la vive in maniera completamente diversa. Una parte è contenta che gli estivi partano perché così iniziano in tutta tranquillità il proprio winterover. Infatti, l'estate a Concordia è sempre molto caotica per la presenza di numerose persone e gli spazi da condividere sono stretti; si è talmente sommersi dal lavoro che quando parte l'ultimo aereo si tira un sospiro di sollievo.
Altre persone lo vivono, invece, in maniera completamente differente. Infatti, quando vedono partire l'ultimo aereo iniziano a rendersi veramente conto che per circa 9 mesi rimarranno completamente isolate e qualsiasi problema dovrà essere affrontato solo dalla piccola comunità rimasta. Fra queste persone, alcune iniziano anche ad avere dei dubbi sulla scelta fatta e si domandano se non sarebbe stato meglio ripartire. E così fra gli "invernanti" si possono vedere sia visi sorridenti che visi corrugati ed in tensione. E ci si guarda in faccia forse per la prima volta! Si inizia così questa esperienza con persone del tutto estranee!
Il team del DC12 (con quest'ultima sigla si usa indicare il dodicesimo inverno che viene fatto a Dome C nella base Concordia), selezionato attraverso corsi di sopravvivenza e visite mediche specifiche, lo scorso anno era composto da 12 persone: 5 italiani, 5 francesi, un belga ed un olandese. In base, oltre a me, era presente un'altra donna, una glaciologa francese di 23 anni.
Il personale scientifico, supportato dal personale tecnico e logistico, ha condotto studi di glaciologia, chimica e fisica dell’atmosfera, astrofisica, astronomia, geofisica e biomedicina. L’ambiente antartico, in particolar modo durante la notte polare, presenta profonde analogie con l’ambiente spaziale. Per questo motivo, presso la Stazione Concordia, il medico ESA (Agenzia Spaziale Europea), Floris Van Den Berg, effettua su di noi (che siamo quindi cavie da laboratorio!) degli studi stabiliti dall'ESA e dalla NASA (National Aeronautics and Space Administration), sull’adattamento psico-fisico dell’uomo all’ipossia, all’isolamento e all’assenza di luce naturale finalizzati alle future missioni su Marte.
Durante i 9 mesi dell'inverno (da febbraio a novembre), qualunque cosa succeda, non siamo recuperabili. Le basse temperature non permettono né il volo degli aerei, né tanto meno il loro atterraggio. Qualsiasi tipologia di urgenza-emergenza deve essere gestita da noi, compresa quella medica, sebbene si possa contare sulla telemedicina con l’ospedale Gemelli di Roma. Per questo motivo, il medico della base, specialista in chirurgia generale, ha individuato un gruppo di tre persone (ed io ne faccio parte), al quale insegnare nozioni di primo intervento in caso ci siano necessità medico chirurgiche.
Anche se può sembrare strano, in Antartide, l'incendio rappresenta uno dei maggiori rischi per la base data la scarsissima umidità dell'ambiente e la formazione di cariche elettrostatiche; quindi, mensilmente, vengono effettuate delle prove antincendio.
L'arrivo della notte polare, iniziata il 3 maggio, richiede più attenzione. Alcune persone sono spaventate dai mesi di buio, anche perché il sole ricompare solo ad agosto, mentre altre sono affascinate dalla volta celeste che le circonda e non smetterebbero mai di scattare fotografie. Di fronte a questa immensità è facile rendersi conto dell'impotenza dell'uomo nei confronti della natura.

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