Nel 1816 una raffinata edizione del romanzo epistolare di Ugo Foscolo fu stampata in lingua italiana a Zurigo da Orell Füssli. Considerata oggi una rarità tipografica, gode di un efficace apparato di incisioni realizzate da Johann Jakob Wetzel e Franz Hegi.
di Giuseppe Muscardini
Decidendo di riparare in Svizzera dopo la caduta del Regno Italico, nell'aprile del 1815 Ugo Foscolo transitava in terra grigionese. Qui nel 1782 I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang Goethe era stato stampato per la prima volta in lingua italiana dalla tipografia Ambrosioni di Poschiavo, con traduzione del milanese di Gaetano Grassi. L'intenzione di Foscolo non era quella di recare devozione allo scrittore tedesco, ma di raggiungere Zurigo. Di passaggio nei Grigioni, sostò a Roveredo dal 15 aprile al 10 maggio, celando la propria identità sotto il nome di Lorenzo Alderani, l'immaginario amico che nelle Ultime lettere è depositario dei sentimenti controversi di Jacopo Ortis.
Ragioni di opportunità politica
A Zurigo fu dapprima ospitato dal banchiere Salomon Pestalozzi e successivamente dal libraio Füssli, comproprietario della Casa editrice Orell Füssli & Co., presso la quale uscì nel 1816 l'elegante edizione dell'Ortis, ma con indicazione tipografica "Londra 1814". Le ragioni che indussero Ugo Foscolo a richiedere al suo editore zurighese di retrodatare al 1814 l'edizione, variando persino il luogo di stampa, erano di opportunità politica.
Rispetto alle due precedenti edizioni, qui erano state aggiunti brani letterari di aperta accusa nei confronti di Napoleone, che l'autore dei Sepolcri desiderava far risalire al 1814, e far credere così che dall'esilio aveva assistito all'insurrezione milanese dell'aprile 1814. Gli convenne sottrarsi per tempo al rischio di incorrere in censure o in pericolose inimicizie, salvo poi farsi coraggiosamente esplicito nel corso dell’esilio in Svizzera.
Studi recenti ascrivono al periodo zurighese buona parte di quel labor limae condotto da Ugo Foscolo sull’Ortis nel tentativo di raggiungere un’edizione definitiva e accettabile. A Zurigo il Foscolo apportò al testo numerose rettifiche, motivate dell'incessante bisogno di includere nella propria opera varianti e aggiornamenti che le due rispettive e avventurose esistenze (di Jacopo Ortis e del suo stesso autore) richiedevano di continuo.
Spesso uomini e libri, autori e protagonisti si intrecciano, e luoghi e paesaggi sono a sfondo di vicende umane complesse. Come complesso è l'amore, l'idea della morte, il senso del sacro e della patria. Nell’edizione zurighese permangono tuttavia le costanti stilistiche alle quali il Foscolo restò fedele, trasposte sia nel testo sia nelle incisioni calcografiche che impreziosiscono la travagliata opera letteraria, realizzate per l’occasione da due celebri paesaggisti di consolidata tradizione artistica: Johann Jakob Wetzel, nativo di Hirslanden - oggi nel comune di Zurigo - e Franz Hegi, nato a Losanna ma morto a Zurigo. Aprendo il volume si rileva la presenza nelle prime carte di due incisioni, l’una in antiporta con il ritratto di Ugo Foscolo racchiuso in una cornice ovale; la seconda al frontespizio, dove appare una giovinetta di profilo dentro una cornice rotonda. Il ritratto in antiporta riflette la pretesa del Foscolo di tramandare ai posteri l’immagine di sé più veritiera, così come è riassunta nei primi versi del celebre sonetto VII, nella successione da lui stesso approvata: Solcata ho fronte, occhi incavati intenti,/ Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto;/ Labbro tumido, acceso, e tersi denti;/ Capo chino, bel collo e largo petto;/.
Al frontespizio la giovane donna in abiti ellenici o romani rimanda all’immagine di Teresa, amata da Ortis ma promessa ad Odoardo. Vi si ritrova la citazione foscoliana del mito femminile espresso nelle Odi e nelle Grazie, corrispondente all’ideale estetico neoclassico della bellezza, che vuole la donna paragonata ad una dea.
Delle quattro vignette presenti nell’edizione originale, la Titelvignette che a pagina 1 apre il romanzo porta la firma di entrambi gli incisori Franz Hegi e Johann Jacob Wetzel. Le misure molto ridotte consentono solo parzialmente l’interpretazione del soggetto, identificato dagli studiosi come “paesaggio euganeo”. Successive e più recenti ristampe, allargando il campo dell’impaginazione e ingrandendo la Titelvignette, decifrarono con maggiore precisione il soggetto, permettendo al lettore senza difetti di vista di scorgere in primo piano, confusa nella vegetazione, una figura umana molto simile per postura a quella dell’iconografia goethiana dell’uomo immerso nella natura, distaccato dal mondo e perduto in pensieri assillanti. Così è ragionevole supporre che in quella minuta incisione, dove la figura umana è impercettibile, possa essere presente il richiamo al tedium vitae di Ortis, fiaccato dalle notti insonni e vinto all’alba dalla stanchezza. Resta il fatto che sotto l’aspetto geografico il presunto “paesaggio euganeo” è difficilmente riconoscibile, per la presenza di un sole che sorge (o tramonta) su un ampio specchio d’acqua, privo di effettivo riscontro nella zona.
Firmata unicamente da Franz Hegi, l’incisione del tempietto sepolcrale che chiude il romanzo (Schlüßvignette) pare ricollegarsi all’epigrafe nel frontespizio: Naturae clamat ab ipso Vox tumulo, mutuata dallo stesso Foscolo nella lettera del 25 maggio presente nell'Ortis con Geme la natura perfin nella tomba. Anche quest’ultima vignetta ha misure ridotte, ma il soggetto canoviano di un angelo nudo, e la scritta Somno sopra la neoclassica edicola funebre, avvicinano più agevolmente il lettore alle tematiche foscoliane. Sonno, non morte, secondo la concezione diffusa che ammette una sopravvivenza del defunto nella memoria di chi lo ha amato. Sonno, e cioè assenza temporanea dell’estinto, che chi resta può richiamare in vita attraverso il talento poetico-letterario. In buona sostanza si evidenzia un singolare apparato figurativo composto da quattro incisioni aderenti al testo, eccellente corredo per le descrizioni del luogo in cui il romanzo epistolare è ambientato, con spunti sia realistici che di fantasia.
Istintiva tentazione
Si cede sempre volentieri all’istintiva tentazione di comparare le controverse vicende sociali di epoche diverse, anche se politicamente distanti. Un tema come l'eutanasia, che ha un impatto psicologico emozionale in chi si sforza di giustificare il suicidio assistito come forma di estrema libertà dell'individuo, quando l'individuo è esausto per la sofferenza impostagli da una severa malattia, necessariamente si carica in questi anni di una forte attualità.
Sull'edizione zurighese dell'Ortis è utile fissare l'attenzione nel tentativo di indagare le aspre diatribe ideologiche e religiose nate attorno alla libertà e alla scelta del singolo di ricorrere al suicidio, all'epoca come oggi alimentate in un clima morale pervaso da autentico scontro. Ortis si spinge oltre, e giudica precario lo spirito religioso degli Italiani, non autentico perché disgiunto dalle leggi e dalle consuetudini del popolo; ma soprattutto nell'aggiunta dell'edizione zurighese Ortis si esprime sulla dubbia nobiltà di chi detiene le leve del potere politico e del governo. Senza mezze misure accusa dignitari e notabili d’incapacità, poiché “in Italia sommo fasto è il non fare e il non sapere mai nulla”. E qui vogliamo evitare i troppo facili accostamenti con l’epoca presente, impegnandoci a consegnare al lettore pagine per così dire neutre. Come prevede anche il codice deontologico di chi è preposto all'informazione. Ma non possiamo esimerci dal riportare in luce la sentenza espressa ne Il Gattopardo da Tancredi Falconieri: Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.