Alla Fondazione Pierre Gianadda di Martigny fino al 19 novembre
di Augusto Orsi
La passione pittorica di un artista classico, impressionista e precursore della modernità
“Enfin Cézanne…”, è il titolo che Léonard Gianadda dà all’introduzione al catalogo dell’esposizione Paul Cézanne, le chant de la terre in corso alla Fondazione Pierre Gianadda di Martigny fino al 19 novembre. Questo “finalmente”, è qua espressione di soddisfazione e di gioia per tutti i sogni diventati realtà con le 145 mostre presentate nei quasi quarant’anni di esistenza della Fondazione e anche quello di sottolineare l’afflusso di circa 2 milioni di visitatori, traguardo che sarà raggiunto prossimamente.
Con Cézanne si conclude il ciclo che ha permesso di presentare, negli ultimi 25 anni, in esposizioni memorabili, gli esponenti principali dell’Impressionismo: Degas (1993), Manet (1996 ), Gauguin (1996), Van Gogh (2000), Berthe Morisot (2002) e più recentemente Monet (2011), e Renoir (2014).
Padre dell’arte moderna
Paul Cézanne (19 gennaio 1839, Aix-en-Provence- 22 ottobre 1906, Aix-en-Provence), si distingue come l’esponente più emblematico di questa generazione e a lui, giustamente, si addice il titolo di “padre dell’arte moderna”. Artista esigente e innovatore Cézanne si è dedicato per più di quarant’anni ad una tematica volontariamente limitata, le cui variazioni hanno le radici nel suo quotidiano, nonostante i suoi dubbi e il suo interrogarsi sugli stili.
Artista solitario, il maestro di Aix-en-Provence, appellativo con il quale entra nella leggenda, crea una visione della natura che si distanzia da quella leggera e bucolica di buona parte degli Impressionisti. La sua arte si modella con lentezza e pazienza. Cézanne ha tempi lunghi di osservazione e creatività. L’icona della sua arte, La montagne Sainte-Victoire, viene da lui dipinta per ben 87 volte e in modo sempre diverso e sempre nuovo. A forza di volontà e lavoro, sostenuti dalla passione per l’arte, unica preoccupazione della sua vita, riesce ad essere accettato e riconosciuto, in vita, anche dalla critica. All’opera di questo pittore di formazione classica, provinciale e un tantino eremita, ben si addice il titolo di Le chant de la terre, in quanto il suo dipingere è l’espressione più profonda del suo amore per la terra natale.
Le chant de la terre, titolo di una celebre opera di Mahler, è anche la musica che attraversa tutta la produzione di Cézanne. Alquanto classica agli inizi, quando ritrae Les Baigneuses o dipinge le Natures mortes, vibrante e lirica nel periodo impressionista con le atmosfere sfumate della Provenza e infine moderna alla fine della vita quando nel dipingere per l’ennesima volta la Montagna per lui sacra scompone i segni e da spazio al colore che inebria. Di questa montagna, che storicamente ricorda la vittoria del generale romano Gaio Mario nel 115 a.C. sui Cimbri, il pittore ha quasi una venerazione e una visione panteistica. Infatti, nel 1902 si fa costruire un atelier da dove può meglio contemplarla. Nei suoi ultimi oli, più lui le si avvicina e più lei sembra scappargli. Le rocce sembrano frammentarsi, e le chiazze di colori trasparenti, aerei, si fanno più larghe. La Montagne Sainte-Victoire ha una sua forza creativa che si riversa nelle ultime tele nelle quali il pittore, nelle sue ricerche di una vita, giunge all’arte moderna nelle forme, ma soprattutto nel colore.
La mostra
Martigny si trova ad un crocevia tra Svizzera, Francia e Italia, questa posizione strategica e soprattutto l’importanza artistica delle mostre proposte dalla Fondazione Giannada, fa che attiri un numero notevole di visitatori provenienti da questa tre nazioni. Nel caso specifico di Paul Cézanne, poi, a questi elementi bisogna anche aggiungere che il pittore di Aix-en-Provence ha tutti i crismi artistici e umani per piacere e giustificare una visita della sua mostra. Nell’immenso salone della Fondazione che accoglie le opere, su una delle pareti troneggia una gigantografia di Paul Cézanne che lo ritrae seduto in contemplazione innanzi alle sue famose baigneuses classiche e giunoniche. Quest’immagine speculare dell’artista e delle sue opere inglobata negli sguardi ammirati dei visitatori è per me è l’emblema della sontuosa esposizione e anche quella dell’arte di un pittore che vedeva la realtà con gli occhi del cuore e della passione.
Una cinquantina di paesaggi, una decina di nature morte, une quindicina di ritratti e figure completate da una dozzina di composizioni emblematiche di Baigneurs et Baigneuses che, in sintonia con la natura lussureggiante, traspirano serenità, gioia e piacere, formano il corpo dell’esposizione che fa percorrere al visitatore un itinerario di circa 40 anni nell’universo pittorico del visionario Cézanne. Tra queste anche una decina di tele esposte per la prima volta al pubblico e altre che lo sono raramente. Sono opere provenienti da prestigiosi musei nazionali, internazionali e da collezioni private svizzere e straniere.
Cronologicamente si inizia dal 1860 con i Deux enfants d’après Prud’hon, tela di un realismo pacato per passare al paesaggio naturalistico di Ciel entre les arbres (1862-1864) segue La Neige fondue à l’Estaque (1870) La Côte de Jalais à Pontoise (1879-1881) e a Paysage d’hiver, tela modernissima, dove le forme sono ridotte all’essenziale e il colore appare quasi distillato. Nei ritratti pregevole per fattura la serie dedicata a Madame Cézanne, in particolare l’austero Madame Cézanne à l’éventail e poi quello dell’amico d’infanzia Emile Zola naturalistico e introspettivo. Nelle nature morte si distinguono quelle nella cui composizione dipinge mele, il suo frutto preferito per questo genere, anche perché gli ricordano la sua amicizia per Zola che nell’infanzia in cambio della sua protezione gli aveva offerto delle mele e lui aveva sottolineato il fatto dicendo “Les pommes, elles viennent de loin”. Sfortunatamente l’amicizia di una vita terminò male.
Un corposo catalogo di 391 pagine con testi critici, saggi, biografia e foto di tutte le opere esposte, edito dalla Fondation Pierre Gianadda, è guida alla sontuosa esposizione.