Il Tribunale federale, con sentenza del 15 febbraio pubblicata ieri, ha respinto un ricorso, dichiarandolo inammissibile, del Ministero degli Affari Esteri italiano contro due impiegate presso il Consolato generale d'Italia a Lugano. Le due donne, cittadine italiane, chiedevano dal 2013 salari arretrati e aumenti salariali come compensazione del danno passato e futuro consecutivo alla svalutazione dell'euro rispetto al franco svizzero e alla disparità di trattamento nei confronti dei colleghi con mansioni uguali remunerati in moneta svizzera. La prima chiedeva 54'464.65 euro di salari arretrati e il riconoscimento di un aumento annuale di 11'268.55 euro, mentre la seconda avanzava pretese arretrate di 47'972.25 euro e un aumento di 9'925.30 euro all'anno.
Con sentenza di giugno 2015 il Pretore di Lugano aveva parzialmente accolto le loro richieste, condannando il Ministero degli Affari Esteri a pagare alle donne gli importi da loro chiesti a titolo di adeguamenti arretrati ma riducendo a 9'714 euro l'aumento futuro per la prima e a 3'740 euro per la seconda. Un primo ricorso del Ministero al Tribunale d'appello ticinese era stato respinto nel settembre 2016, e ora lo è stato anche quello al Tribunale federale, con il Ministero che, oltre a quanto stabilito dal Pretore, dovrà pagare pure 6'000 franchi di spese giudiziarie e 7'000 a titolo di ripetibili alle due impiegate.
Motivo del contendere, in sede giudiziaria, è stato l'applicazione del diritto italiano in Svizzera. Secondo la giurisprudenza italiana, spiega il ricorrente, la norma in questione attribuisce al datore di lavoro la facoltà di concedere adeguamenti salariali, ma non dà al dipendente il diritto di pretenderli. Le opponenti, però, secondo il TF, "obiettano con ragione l'inammissibilità di questa censura, poiché l'applicazione erronea del diritto estero può essere motivo di ricorso in materia civile soltanto nelle cause di natura non pecuniaria". Ed è proprio questa applicazione erronea a essere costata al Ministero la perdita del ricorso.