“Il lavoro non può essere tutto”

di Ingeborg Wedel

Sullo scorso numero della Rivista abbiamo presentato la giovane ricercatrice siciliana esperta di Biologia ed Ecologia Marina, tratteggiandone la sua dimensione professionale e le ragioni che le consentono di affermare orgogliosamente “Io resto al Sud”.
Su questa edizione completiamo il quadro, pubblicando le risposte che ha fornito alle consuete domande che, in questa rubrica, sottoponiamo alle ‘nostre’ donne in carriera


Quanto tempo le è servito per farsi apprezzare nel suo ambito professionale?
Anche nel mondo della ricerca oggi si compete non solo sulle competenze teoriche o tecniche, ma sempre di più sulle capacità gestionali e manageriali, con il risultato che per farci strada siamo spinti a sviluppare competenze inerenti la stesura e la gestione di progetti di ricerca in ogni loro parte, dall’ideazione dell’esperimento alla sua gestione economica, alla comunicazione.
Da donna, ritengo che il tempo necessario a farsi apprezzare come quello della ricerca sia strettamente correlato alle capacità personali, alla pazienza ed alla determinazione.
Personalmente, ho avuto in diverse occasioni la percezione di impiegare più tempo rispetto a colleghi uomini per farmi apprezzare, di dovermi sforzare maggiormente per entrare in empatia con i colleghi e con i superiori maschi.

Quali difficoltà ha dovuto affrontare?
Le difficoltà sono innegabili e, secondo una mia personale lettura, si possono riassumere in un semi-velato scetticismo, che capita spesso di percepire in alcuni uomini nel primo approccio con la donna-ricercatrice e nei naturali muri che si creano a volte con l’altro sesso, spesso dettati dal diverso modo di relazionarsi di uomini e donne. Il cosiddetto cameratismo, l’essere compagnoni, per intendersi, la “partita a calcetto” a cui fece riferimento, non molto tempo fa, il Ministro del Lavoro Italiano, sono delle dinamiche tipicamente maschili in cui la donna ovviamente fatica a inserirsi.

Quando cessa la diffidenza?
In un mondo in cui le suddette dinamiche a volte ancora purtroppo prevalgono sulle competenze e capacità personali, la donna non può che reagire con la forza. Mi accorgo quindi che a rivestire ruoli di rilievo e a gestire progetti importanti si ritrovano donne che, con un atteggiamento mascolino portato all’estremo, si impongono e diventano a loro volta diffidenti e super competitive. Io cerco ancora di abbattere questa diffidenza dimostrando concretamente di cosa sono capace, lavorando duramente con pazienza e determinazione.

Quali ostacoli ha dovuto superare?
Per giocarsi le proprie carte ed arrivare, non solo ad avere una propria stabilità lavorativa, ma a gestire un progetto in cui si crede, credo che sia necessario riuscire ad abbattere quei muri di cui parlavo, occorre produrre e dimostrare molto per acquisire credibilità e, credo, imparare ad esaltare le proprie capacità, dosando, per così dire, estrogeni e testosterone.

Ne derivano degli svantaggi?
Forse il superamento di questi ostacoli implica che a volte si viaggi a un’altra velocità rispetto a colleghi uomini, il che in un mondo altamente competitivo può rappresentare un grosso limite.

Vantaggi ce ne sono?
Devo ammettere di essere stata molto precoce nel percorso accademico, al punto che ciò mi ha permesso di acquisire rapidamente una certa consapevolezza, che ritengo fondamentale nell’affrontare le sfide che il mondo del lavoro pone davanti ad una donna oggi.
Non so quanto giochi il fisiologico maturare più velocemente rispetto agli uomini e quanto l’ambiente in cui si è cresce, ma credo che il rapporto tra la maturazione personale e la velocità nel percorso di studi da una parte e il maggior tempo impiegato per farsi apprezzare dall’altra, dia come risultato il reale vantaggio ottenuto.

Nel suo ambito di lavoro verifica che l’intuito sia una qualità soprattutto femminile?
No, ho avuto la fortuna di incontrare molti uomini con intuizioni strabilianti. Forse la percezione femminile è superiore nella visione e comprensione di alcune dinamiche relazionali, ma sono certa che non tutti gli uomini condividono questo concetto.

Nel suo mondo professionale quanto conta per la donna in carriera l’arte della seduzione?
Conta molto nel saper vendere le proprie idee e intuizioni e credo che conti molto per entrambi i sessi.

Qual è per lei la soddisfazione maggiore?
In quanto ricercatrice, la maggiore soddisfazione sarebbe creare o essere parte di un gruppo di ricerca valido, equilibrato e affiatato, con cui poter condurre esperimenti volti a comprendere le numerose e sconosciute dinamiche ecologiche e biologiche che dominano l’ambiente naturale ed in particolare l’ambiente marino, compiendo azioni concrete per la sua salvaguardia.
Soddisfazione la vedo quindi nel raggiungimento di piccoli e grandi risultati scientifici (come quelli già ottenuti) e nel lavorare con gente che condivide la tua stessa passione. Non ho mai guardato molto all’aspetto economico, se lo avessi fatto forse avrei prediletto strade diverse da quelle della ricerca scientifica. Ammetto che sarebbe già molto soddisfacente avere uno stipendio o un lavoro più stabile, con contratti che avessero almeno un orizzonte triennale, piuttosto che trimestrale o annuale. Laddove questo al momento non appare possibile, non escludo di avviare dei progetti indipendenti. Ho investito anche molte energie nel progetto di un’associazione che ho fondato con alcuni colleghi, “eConscience – Art of Soundscape”, che realizza attività di studio e di divulgazione scientifica, partendo dall’acustica degli ambienti naturali, ovvero dai Paesaggi Sonori, rivolgendosi ad un ampio pubblico, con strumenti innovativi nati dall’incontro del mondo musicale e artistico con quello scientifico.

Che atteggiamento assume la donna dirigente verso le collaboratrici dello stesso sesso?

Per quanto ho avuto modo di constatare, il rapporto donna-donna, all’interno di un gruppo di lavoro è particolarmente delicato. Probabilmente, le difficoltà di cui ho parlato spingono le donne a competere con ogni mezzo, a volte anche generando insicurezze e di conseguenza tensioni e malumori. Le donne che rivestono ruoli dirigenziali, così come gli uomini, hanno secondo me la responsabilità di mettere tutti a proprio agio, di incoraggiare e sfruttare le capacità di ognuno, non facendo distinzioni a priori e lasciando che la competizione si giochi sui risultati.

A che cosa ha dovuto rinunciare?
Credo che non si dovrebbe mai rinunciare né alla famiglia e agli affetti, né a hobby e passioni, anche se alla fine inevitabilmente qualcosa si finisce col sacrificarla. Il lavoro, per quanto soddisfacente e bello non può essere tutto, anche perché si rischia di isolarsi e vivere in un mondo parallelo molto distante dalla vita reale.

Quali hobby si permette?
Ho cercato di non mettere da parte nessuna delle passioni che ho maturato negli anni. Non è stato sempre facile e, con la prospettiva di mettere su famiglia, coltivare anche degli hobby sembra sempre più complesso. Mi piacerebbe continuare a viaggiare, andare a concerti e al cinema, fare escursioni e continuare a fare volontariato da capo scout, sebbene quest’ultimo rappresenti un impegno al momento troppo oneroso per le mie forze. Credo molto nell’importanza del volontariato per lo sviluppo di una società migliore ma mi rendo conto che si tratta di una attività sempre più sacrificata, per far spazio alle molteplici occupazioni richieste per la nostra crescita e formazione.
Auguro ad ogni donna di poter seguire così i propri sogni e di poter scegliere liberamente, incontrando uomini altrettanto liberi e onesti.

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