Intervista con Filippo Neviani, in arte Nek

“Non si finisce mai di imparare, si cresce continuamente”

di Luigi Farulli

L’ho incontrato lo scorso 27 ottobre a Basilea in occasione della sua partecipazione all’evento musicale Baloise session. Prima di andare in scena con il suo concerto, mi ha concesso un po’ di tempo per fare questa intervista.


Dal 20 gennaio 2018 tu sarai in Tour nei principali palasport italiani insieme a Max Pezzali e a Francesco Renga. Com’è nato questo progetto?
È nato fondamentalmente dal desiderio di condividere insieme un palco. Perché quando Max Pezzali ci chiamò per una collaborazione in un suo pezzo che si chiama Duri da battere, che poi abbiamo cantato tutti insieme, è nata l’esigenza, fuori dallo studio, di trovarci al di là di quella particolare occasione. E quindi di non limitarla ad un solo featuring ma di estenderla anche a un’esperienza sul palco. Visto che abbiamo tanti punti in comune e uno su tutti è la passione per la musica.

Come sarà strutturato il live?
(Ride) Non ti posso dire niente, è una sorpresa. Posso dirti però che stiamo studiando il repertorio e ci sarà la condivisione dei pezzi di ognuno di noi.

Voi sarete tutti e tre sempre sul palco e canterete ognuno i vostri pezzi ma anche….
Non solo, no, ma anche…...uno potrà cantare anche il pezzo dell’altro.

lo immaginavo, farete duetti…
Assolutamente, non sarà una roba statica. Ognuno canterà per sé, con l’aiuto e interagendo con gli altri. Ci saranno poi delle incursioni nel repertorio di ciascuno. Insomma. ci sarà dinamicità.

Nascerà un disco da questa collaborazione?
Non te lo so dire. Prima portiamo avanti il Tour e vediamo come va a finire.

Come ti sei trovato nel ruolo di direttore artistico ad Amici, il talent di Maria De Filippi?
Benissimo. È stata un’esperienza che è cresciuta giorno per giorno. Mi ha fatto molto bene, perché ho capito tanti limiti. Ho capito come migliorare il mio approccio verso le persone. C’è sempre da imparare quando si ha un’altra persona di fronte, soprattutto se si tratta di giovani e ragazzi. Quindi sono diventato un po’ psicologo, sono diventato un po’ fratello maggiore, sono diventato un po’ migliore amico. Penso che anche J-Ax possa dire la stessa cosa. È stata, per quel che mi riguarda, un’esperienza che mi ha FATTO crescere molto dal punto di vista caratteriale. Ho lavorato sulla pazienza, sull’ascolto, e poi insomma abbiamo anche prodotto delle cose, e quindi abbiamo lavorato a stretto contatto con i ragazzi. Abbiamo affinato le nostre tecniche anche dal punto di vista professionale. Insomma, è stata una grande esperienza positiva, che ha aumentato molto il mio bagaglio professionale.

Però, se non sbaglio, tu non sei mai stato entusiasta dei talent.

Mah, devo dire…. io credo sempre che il talent sia insidioso. Nel senso che c’è questo meccanismo accelerato del portare in auge una persona, che poi si fa tutte le sue idee. Rischia di illudersi. Se non è consigliato, se non è protetto, se non è gestito in un certo modo un giovane può facilmente montarsi la testa, distaccarsi dalla realtà. Attraverso un talent, si può ottenere un grande successo, ti può portare in alto e allo stesso tempo può anche distruggerti, o comunque indebolirti, o magari demolirti se non ci sono tutti questi, come posso dire, sostegni messi al loro posto. C’è anche da dire questo, perché non voglio essere solo denigratorio, che se non ci fossero i talent oggi ci sarebbero maggiori difficoltà. Se mi mettessi io nei panni dei giovani e mi chiedessi: “oggi prenderesti in considerazione la possibilità di partecipare a un X Factor, a un Amici o a un qualsiasi altro talent?”, la mia risposta sarebbe: “Si”. E quindi sarei un ipocrita se dicessi il contrario.

Ad Amici c’era anche J-Ax insieme a te, adesso siete ormai diventati degli amiconi, vero?

È così. Abbiamo condiviso anche il mio concerto all’Arena di Verona, i concerti di Fedez e J-Ax in giro per l’Italia in alcune tappe, visto che ho cantato in uno dei loro pezzi. Insomma è bello quando c’è la possibilità di condividere la stessa passione per il lavoro.

E Infatti nel tuo ultimo album c’è un duetto con J-Ax intitolato Unici, nel quale prendete di mira Freud. Perché?
Non è una presa di mira, è un giocare con, diciamo così, un grande esponente della psicologia. Già il nome di suo suona molto. E mi piaceva il fatto di girare intorno al concetto dell’amore/sessualità, tutto quello che ha analizzato Freud nella sua vita. E alla fine io e J-Ax siamo stati consapevoli del fatto che nonostante ci siano stati importantissimi studi sull’amore, sulla sessualità, sul comportamento in ambito sentimentale degli esseri umani attraverso un occhio psicologico, psicoanalitico, siamo giunti alla conclusione che non c’è un manuale d’istruzioni per l’amore. Cioè non lo puoi circoscrivere in una serie di dettami, per lo meno questo è quello che pensiamo entrambi. Poi è ovvio c’è una psicologia, c’è una scienza che studia determinati comportamenti. Ci sono dei padri che hanno scritto importanti pagine e ai quali va il nostro più totale rispetto, insomma. È un simpatico modo di prenderli per il culo, ecco tutto qua.

Unici, che è anche il titolo del tuo ultimo album, è un disco tra poesia ed energia?
Beh, guarda, la poesia… dipende da cosa intendi per poesia. Sicuramente c’è energia, c’è vissuto, c’è il desiderio di essere anche portavoce di emozioni. Poi, vabbè, se c’è qualche verso che può somigliare poetico, ci può anche stare visto che si parla di musica. La musica chiama questo genere di metrica, questo genere di linguaggio, può anche starci.

A maggio 2017 hai fatto un concerto all’Arena di Verona per la prima volta dopo 25 anni di carriera. Come mai?
Perché ci sono arrivato dopo 25 anni. Perché ho esaudito un desiderio importante. Ho vissuto un sogno che avevo già nello stomaco, nella testa, nel cuore da parecchi anni e che per diverse motivi non ero riuscito a portare avanti attraverso il mio lavoro personale. Ma non importa essere arrivato oggi, l’importante è esserci arrivati e quindi a poter dire: “Anche io ho goduto all’interno dell’Arena di Verona”. E mi sono lasciato invadere dalle emozioni, e spero di aver trasmesso altrettante emozioni, quella sera.

C’è una fase della tua carriera a cui sei più affezionato?
Questa! Questa… perché intanto non si finisce mai di imparare, si cresce continuamente. C’è una consapevolezza oggi che non è più quella di 20 anni fa. Potrei dirti quando uscì Laura non c’è iniziò tutto. Però è anche vero che quel tutto, io di quel tutto ho pochi ricordi, nel senso che andava tutto talmente veloce che faccio fatica a ricordare. Oggi, invece c’è una consapevolezza diversa. Sono passati 25 anni dall’inizio della mia carriera, vivo con un entusiasmo ancora più forte oggi che 20 anni fa. Mi sto accorgendo di quello che mi succede intorno. E come se io fossi su quel treno su cui sono salito 25 anni fa. E per tanto tempo non mi fossi accorto del mondo che mi passava di fianco. Oggi, guardo fuori dal finestrino e mi fermo su alcuni dettagli, vedo i paesaggi, scruto le diversità dei territori, riesco ad affascinarmi da quello che vedo. Ecco immaginati questa è la fotografia di oggi. Quindi sono inevitabilmente grato di questo e sono affezionato ai momenti di oggi.

Com’è cambiato il tuo pubblico nel corso del tempo?
Beh, è diventato eterogeneo. Mi ricordo che ho cominciato quando venivano a vedermi le ragazzine, fidanzate dei ragazzi. Ai ragazzi non piaceva l’idea che la ragazzina fosse concentrata su questa cosa qui. Oggi, quelle ragazzine sono diventate madri, quei ragazzi mi hanno apprezzato nel tempo. È girata la voce, diciamo cosi. Oggi ad ascoltarmi ci sono anche i bambini. In sostanza il mio pubblico va dai bimbi ai sessantenni. Quindi, è un pubblico molto eterogeneo. E di questo sono molto soddisfatto e molto orgoglioso perché significa che, negli anni, è stato fatto un buon lavoro da parte mia.

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