Intervista con Ignazio Cassis

di Giangi Cretti

Sono trascorsi 18 anni da quando Flavio Cotti ha lasciato il Consiglio federale. Sembrano ora esserci i presupposti affinché La Svizzera italiana torni ad avere un suo rappresentante in seno al governo elvetico. Lo sapremo il prossimo 20 settembre, quando il Parlamento svizzero eleggerà il sostituto di Didier Burkhalter, che ha annunciato le sue dimissione a valere dal 31 ottobre.
Lo scorso primo settembre il gruppo parlamentare del PLR ha deciso di presentare ufficialmente tutti e tre i candidati: Cassis, la signora Isabelle Moret e Pierre Maudet. Il ticinese, la donna e il giovane.
Anche se una scelta fra tre candidati rende meno prevedibile la dinamica della votazione Il candidato più accreditato resta Ignazio Cassis, Consigliere nazionale dal 2007 e dal 2015 presiede il Gruppo parlamentare liberale-radicale, che, con molta disponibilità, ha accettato di rispondere alle nostre domande



Credo si possa affermare che l’elezione nel Consiglio federale venga considerata la naturale coronazione di ogni carriera politica. Lei, malgrado si convenga che la costellazione non sia mai stata così favorevole all’elezione di un svizzero italiano, si è preso del tempo prima di accettare.
Quali sono gli elementi che sono stati determinanti per la sua decisione?

Da un lato c’è il desiderio di plasmare il nostro quotidiano e di rendere possibile il futuro che si desidera. E c’è l’amore per la Svizzera. Dall’altro c’è la dedizione al 200% alla funzione, che implica importante rinunce, prima di tutte alla propria vita privata.

Che cosa l’ha spinto alla fine ad accettare?
Prima di tutto il desiderio di servire la mia Patria, proprio come quando ho accolto nel 2007 l’invito di candidarmi per il Parlamento o anni prima la proposta di fare carriera militare nell’esercito.
Viviamo in un angolo di terra baciato dalla fortuna, dalla prosperità e dalla pace. Tutto questo non è il frutto del caso, ma dell’impegno di chi ci ha preceduti. Con lo stesso spirito vorrei dare il mio contributo, contribuire a modellare il futuro sulla base dei valori liberali e lasciare a chi ci seguirà questa ricchezza.

Lei, all’indomani della sua candidatura da parte della sezione cantonale del suo partito, ha dichiarato che “parlare una lingua non per forza significa poter rappresentare la cultura che vi sta dietro”. Quali sono i valori dell’italianità che vorrebbe portare a Berna?

La Costituzione svizzera prevede, all’articolo 175 cpv. 4, che nel Consiglio federale – cioè nel Governo nazionale – le diverse regioni e le componenti linguistiche del Paese debbano essere equamente rappresentate. La Svizzera di lingua e cultura italiana è assente da 18 anni e dunque questa “terza Svizzera” non è rappresentata. Ciò è indipendente dal sapere parlare più o meno bene una lingua. Una lingua non è un semplice accostamento di parole, ma il veicolo di una mentalità, di valori, di umore, di cultura. Inoltre un Consigliere federale di lingua e cultura italiana crea anche un legame sociale e psicologico con i cittadini italofoni, avvicinandoli alla Svizzera e alle sue istituzioni.

Ritiene sia necessaria una specifica sensibilità per migliorare i rapporti con l’Italia?
Disporre in Governo di una sensibilità culturale italiana aiuterebbe certamente a migliorare i rapporti da anni un po’ tesi con l’Italia. Penso al contenzioso fiscale, ai flussi migratori, alla pressione sul mercato del lavoro (frontalieri per esempio). L’Italia è un importante partner commerciale, scientifico e culturale per la Svizzera. Il Ticino e il Grigioni italiano sono il ponte naturale verso Sud. È importante che giochino un ruolo per buoni rapporti di vicinato.

D’altronde, nel rapporto far i due Paesi, oggi più che mai, sembra importante avere un occhio di riguardo per le particolarità di una regione di frontiera…
La Svizzera è situata nel cuore dell’Europa, ma è fiera della sua autonomia e delle sue specificità politiche. Non facendo parte dell’UE deve trovare il modo migliore per gestire i rapporti con gli Stati confinanti. Grazie agli accordi bilaterali Svizzera-UE abbiamo complessivamente una buona situazione di vicinato e di accesso ai mercati dell’UE, per esportare servizi e prodotti. La frontiera è elemento di unione e di divisione: occorre perciò gestire con equilibrio i rapporti transfrontalieri. La crisi economica che ha colpito anche il Nord-Italia ha generato una forte pressione dei suoi 10 milioni di abitanti verso il Sud della Svizzera, che conta solo 350'000 abitanti. Ciò ha creato scompensi nel nostro territorio (mobilità, dumping salariale, densità abitativa).

Accanto alle questioni contingenti, quali quella degli accordi fiscali e quella dei frontalieri, con l’Italia va governato il drammatico tema dei flussi migratori.
Essendo molto esposta nel Mediterraneo, l’Italia deve farsi carico di importanti flussi migratori dall’Africa e dal Medio-oriente. La Convenzione di Dublino, il trattato internazionale multilaterale in tema di diritto di asilo al quale ha aderito anche la Svizzera, è una parziale risposta al problema. La convenzione si è rivelata utile ma insufficiente per l’Italia, particolarmente sola nel fronteggiare l’emergenza migratoria. La Svizzera fa la sua parte, ma il problema resta irrisolto. Soltanto uno sforzo internazionale coordinato è in grado di risolvere la questione. Un dialogo costruttivo con l’Italia è perciò indispensabile.

Tema questo che richiama i rapporti con l’UE. Un capitolo spinoso sul quale il Consiglio federale è chiamato a fornire una risposta che ne illustri una strategia politica sostenibile.
I rapporti tra Svizzera e UE sono retti da oltre 120 accordi bilaterali, che continuano ad essere la spina dorsale delle nostre relazioni con l’UE. Un’adesione all’UE è fuori discussione. Tali accordi ci consentono di accedere al mercato unico europeo di oltre 500 milioni di consumatori. Siccome ogni accordo ha le proprie regole esecutive, la gestione di un corpo così eterogeneo crea un dispendio burocratico immenso. Perciò stiamo cercando una via per semplificarne la gestione, così da poter concludere nuovi accordi utili alla nostra sicurezza e prosperità. Fin qui però gli sforzi non hanno portato frutti. Ciò crea frustrazione e tensione. D’altro canto l’UE deve gestire oggi problemi interni non indifferenti, come la Brexit, la crisi istituzionale polacca o quella del debito greco. Lasciamo tempo al tempo, senza cadere nella trappola della precipitazione: la gatta frettoloso fece i gattini ciechi!

In parallelo all’elezione del Consigliere federale, sta animandosi il dibattito sulla votazione della riforma delle pensioni denominata Previdenza 2020. Un tema del quale lei si è molto occupato e rispetto al quale ha una posizione decisamente contraria. Quali sono le principali ragioni?
L’obiettivo della riforma era quello di consolidare il nostro sistema pensionistico, per far fronte alle sfide demografiche e allo scarso rendimento dei mercati finanziari. Purtroppo la legge su cui voteremo il 24 settembre fallisce l’obiettivo. Invece di fare le necessarie modifiche strutturali, estende le prestazioni dell’AVS – già deficitaria dal 2014 – e copre i buchi finanziari con prelievi fiscali (IVA) e salariali. Insomma, preleveremo più soldi dalle tasche dei cittadini senza risolvere nulla, anzi peggiorando le prospettive per i nostri giovani. Non è responsabile e dunque voterò NO.

Su questi temi dovrà convincere i parlamentari dei partiti con i quali avrà le audizioni nelle prime settimane di settembre. Infatti, anche se è importante quello che sperano i ticinesi e i sostenitori del leitmotiv “Ticino First”, o scrivono i giornalisti e profetizzano gli esperti, è vero che a decidere sarà l’Assemblea federale. Come si sta preparando?

Cercando la calma dentro di me e presentando con coerenza la mia azione politica, articolata attorno ai valori liberali.

Al di là di quelle che sono le sue convinzioni politiche ci sono altri elementi che potrebbero rivelarsi determinanti per la sua elezione in Consiglio federale. Gliene elenco due, chiedendole di dire in che modo ritiene possano condizionare il voto dei parlamentari il prossimo 20 settembre:

a) il presunto conflitto d’interessi derivante dal fatto che è presidente (seppur funzione temporaneamente congelata) di un’associazione che raggruppa Casse malati.
Le associazioni sono istituzioni politiche indispensabili per il buon funzionamento della democrazia diretta. Esse giocano un ruolo chiave – quale interfaccia dialettica - tra Stato ed economia. Che siano associazioni padronali, sindacali, professionali o di categoria: la Svizzera non funzionerebbe senza tali associazioni. In un Parlamento di milizia com quello svizzero, l’attività politica è accessoria a quella professionale. Ogni membro del Parlamento, a dipendenza della sua formazione professionale, ha naturali legami con le associazioni del suo mondo lavorativo e da esse trae il sapere necessario ad alimentare il dibattito politico. Questa realtà è ben nota ai membri del Parlamento. Le critiche riportate dai media sono di regola strumentali ad altri fini.

b) la questione di genere: in assoluto, ma anche alla luce dell’annunciato ritiro di Doris Leuthard e la non ricandidatura di Schneider-Amman in occasione delle elezioni del 2019


Il genere è certamente un criterio di valutazione del candidato, accanto alla competenza, all’esperienza, all’età, alla credibilità, alla comunicatività, all’appartenenza linguistica, alla fede religiosa ecc. Accanto a questi criteri generali, ogni membro del Parlamento che avesse ambizione di diventare Consigliere federale, valuterà i candidati anche in base alla propria convenienza.

Nonostante le speculazioni dei giornalisti e degli esperti, che si rincorrono sui vari media evidenziando questo o quell’elemento, alla fine (dopo che il gruppo parlamentare del PLR ha deciso di presentare un ticket con tutti e tre i candidati: lei, la signora Moret e Pierre Maudet) sembrano tutti convergere: lei resta il favorito. Un ruolo che le pesa?
L’elezione di un Consigliere federale è come una partita a scacchi in quattro dimensioni: poco o nulla è prevedibile e i colpi di scena si susseguono fino alla famosa notte dei lunghi coltelli. Partire favoriti è considerato un handicap perché sul favorito si concentra tutta l’attenzione mediatica e si moltiplicano le azioni di chi lo vuole eliminare. Tutti conosciamo il detto “chi entra Papa nel conclave, ne esce Cardinale”.

Mi consenta di chiudere in leggerezza, chiedendole di soddisfare quella che forse è una curiosità di molti: comunque vada, che ne sarà del divano* di casa? Lo cambierà o lo conserverà?
Probabilmente lo terremo: in fondo è la testimonianza più divertente di quest’intenso viaggio di candidatura. E poi ci piacciono i colori!

Grazie e in bocca al lupo.
Crepi.


*il divano di casa del consigliere nazionale è stato oggetto di una controversa disanima innescata dal Blick, che, avvalendosi del parere di esperti di arredo egli interni, ha sentenziato che era eccessivamente colorato (insinuando che striderebbe con lo stile di una figura istituzionale che si preferirebbe grigio e monocorde?)

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