Intervista con il pianista Antonio Faraò: "O succede, o non succede"

Testo: Luca D'Alessandro
Foto: Roberto Cifarelli

Nei suoi trent'anni di carriera sulla scena musicale, il pianista jazz Antonio Faraò, di origine romana, ha collaborato con artisti di fama internazionale, tra cui Jack DeJohnette, Joe Lovano, John Abercrombie, Gary Bartz e Billy Cobham. Il 19 febbraio prossimo Faraò si presenterà sul palco del Moods di Zurigo. Insieme a lui si esibirà l'armonicista ginevrino Grégoire Maret.


Antonio Faraò, lei si presenterà sul palco del Moods insieme a Heiri Känzi al basso, Gary Husband alla batteria e Grégoire Maret alla armonica a bocca. Un quartetto particolare tanto più che l'armonica non è uno strumento che si vede ogni giorno nel jazz.
Io invece lo considero un setting classico, familiare, dato che qualche anno fa ho avuto l'occasione di suonare al Jazzfestival di Salzau in Germania con Toots Thielemans, uno dei più apprezzati armonicisti jazz di tutti i tempi, scomparso nel 2016. Con Maret, nel 2017, ho allestito un intero programma dedicato a Thielemans. Se vogliamo, Maret è un po' il discepolo di Toots.

Dove ha conosciuto Maret?
L'ho incontrato nel 2015 a Parigi all'International Jazz Day. Sin dall'inizio c'è stato un grande feeling e dunque abbiamo pensato di fare qualcosa insieme. Lui in seguito mi ha chiamato per fare dei concerti, e finalmente è nato un progetto che presenteremo anche a Zurigo. Un mix tra brani originali e standard che rispecchiano in un certo modo anche la natura di questo nostro quartetto incredibile.

Cosa intende con questo?
Il nostro quartetto può essere considerato un meeting tra artisti che hanno seguito diversi percorsi, e alla fine cercano di creare una dimensione nuova. L’eventualità di suonare insieme ad un altro artista, è una cosa un po' magica, nel senso che: o succede o non succede. Con Maret è successa questa cosa, e adesso c'è ... (ride). Abbiamo poi Gary Husband, un artista eclettico, che tra l'altro è il batterista di John McLaughlin e all'epoca lo era anche del chitarrista inglese Allan Holdsworth.

Nei suoi anni di carriera si è mosso in vari registri, con musicisti di fama internazionale. Lei è un musicista che s'interessa di tutto, e pare che non si ponga dei limiti.
Ogni progetto ha una sua dinamica, e devo entrare nella parte. Non ho mai pensato di seguire tendenze come "ah, va di moda una certa cosa, dunque la devo fare anch'io". Il mio lavoro si distingue da questo modo di pensare. Per me un progetto deve essere una cosa che io sento particolarmente. Ogni mia idea ha avuto un percorso diverso e ho sempre cercato di dare a ciascuno un'identità. Anche suonando utilizzando registri ritenuti standard ho dato loro un'impronta mia attraverso l’arrangiamento. Non lascio mai le cose al caso.

In Eklektik, disco uscito a marzo dell'anno scorso, ha seguito un percorso particolarissimo, abbandonando l'ambito strettamente jazzistico, esplorando il rap, l'elettronica e il funk.
Eklektik era un progetto che avevo nel cassetto da quattordici anni. Alcuni dei brani sono stati riarrangiati e altri sono nuovi. Purtroppo, ci sono molte voci critiche che ti etichettano e non apprezzano se esci da quello che ritengono il tuo ambiente abituale. Io trovo che bisogna permettere ad un artista di esprimersi senza limiti, al massimo che può. Ammetto che Eklektik è molto diverso da quello che avevo fatto fino ad allora, però si parla comunque di jazz, di improvvisazione. Strutturalmente ci sono dei brani più commerciali, ma questo non vuol dire che non ci sia del jazz, altrimenti bisognerebbe anche mettere in dubbio il lavoro di Herbie Hancock o Chick Corea, che nel passato hanno seguito differenti percorsi. Insomma: il jazz è una musica eclettica. Quindi Eklektik ci sta.

A questo disco hanno partecipato artisti di fama internazionale, provenienti da vari generi musicali. Balza all'occhio Snoop Dogg, il famoso rapper statunitense.
Eh, sì, non era facile arrivare a personaggi come Snoop Dogg. Comunque alla fine ci sono arrivato, senza spiegare i dettagli. Con Marcus Miller, anche lui partecipe di questo progetto, avevo collaborato all'International Jazz Day nel 2015.

È inoltre degna di menzione l'intervento del chitarrista alsaziano Biréli Lagrène, personaggio cult nel mondo jazzistico, non solo al livello musicale, ma anche come personalità.
Biréli è un grande. Comunque devo precisare che per la produzione di questo disco, non c'era bisogno di incontrarmi con tutti i musicisti: è praticamente impossibile farli venire da tutto il mondo. Oggi, se produci un disco in ambito elettronico, vai in studio, suoni, invii il file ad un altro musicista, e lui, poi, unisce al tuo sound il suo assolo. Alla fine metti tutto insieme e completi il disco.

L'elenco dei featuring è notevole.
Si, la maggior parte sono musicisti con cui nel passato ho avuto a che fare e con i quali ho esplorato i confini della musica.

Confini, che, tra l'altro, ha scavalcato anche in altri dischi. Per citarne uno: Boundaries.
Il jazz per me non ha confini, infatti. È una musica che riunisce diverse culture. E queste culture bisogna viverle e sentirle. Insomma, bisogna interagire con loro. E scoprire! Sì, jazz è scoprire: cercare strade nuove e individuare formule diverse.

Nella sua vita ha fatto anche dei dischi di carattere autobiografico. Evan e Domi ...
... che sono miei figli. Ho dedicato un disco a testa. Ogni padre esprime un'emozione diversa per quel che riguarda i propri figli. Io l'ho fatto in questo modo.

Quali sono i suoi prossimi progetti?
Il mio prossimo disco sarà concettualmente più acustico. Comunque Eklektik è un progetto elettrico che porterò avanti - prima o poi.


Concerto di Antonio Faraò feat. Grégoire Maret
Grégoire Maret (armonica), Antonio Faraò (p), Heiri Känzig (b), Gary Husband (dr)
19.02.2018, ore 20.30: Moods Club, Zurigo
www.moods.club

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