Julieta di Pedro Almodovar

Julieta, una professoressa di cinquantacinque anni, ha deciso di lasciare la Spagna per il Portogallo, dove si trasferisce l'uomo che ama. Sgombra la casa e ingombra i cartoni di cose e ricordi, tracce forti di un passato che riemerge implacabile.
L'incontro casuale con Beatriz, amica d'infanzia di sua figlia, la convince a restare a Madrid. Lo considera un segno, quello che aspetta da tredici anni, il tempo che la separa da Antía.
Figliola prodiga partita per sempre, Antía ha fatto perdere ogni traccia di sé a quella madre senza colpa che incolpa. Julieta attende come Penelope appesa a un filo e a un diario che svolge la sua storia. Poi il destino le consegna una lettera.

Raccontato attraverso lunghi flashback della protagonista, che dai giorni nostri torna indietro fino a quegli anni Ottanta che l'avevano vista rimanere incinta, e diventare madre e moglie, questo nuovo film del registra madrileno è tutto basato sul dolore di una donna che non si rassegna ad aver perso una figlia sparita di casa da 13 anni e mai più fattasi viva. E, ancora più in profondità, si regge su un'ossatura, dove questa volta si affrontano gli abissi della colpa: la colpa provata dalla protagonista e legata alla morte di due uomini, e, indirettamente, anche alla fuga della figlia. Colpa, che è la forza motrice del film e, al contempo, malattia morale che impedisce di approfittare dei regali della vita
Julieta è un film secco, semplice, essenziale. Ispirato a tre racconti di Alice Munro, assemblati e condensati, non è un melodramma ma una tragedia perché il destino gioca un ruolo fondamentale. L'autore torna al ritratto femminile misurato questa volta con il fato, con un Mediterraneo senza luce, agitato da dei crudeli e capricciosi che inghiottono gli uomini o li spiaggiano in un esilio infinito.

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