di Giovanni Sorge
Vocatus atque non vocatus, deus aderit, invocato o no, Dio ci sarà, recita l’iscrizione all’ingresso della villa di C.G. Jung a Küsnacht, che oggi è diventata museo (https://www.cgjunghaus.ch/en/). Non sappiamo né vien detto se di Dio o di un dio – o forse un demone – si tratti. Al civico Seeestrasse 228 l’autore di Tipi psicologici, Psicologia e alchimia e Risposta a Giobbe visse con la famiglia, attese all’opera, ricevette pazienti, diede interviste: ad esempio la celebre Face to Face (BBC 1959, https://www.youtube.com/watch?v=2AMu-G51yTY) ove alla domanda se credesse in Dio, dopo un momento d’esitazione lo psicologo ottantaquattrenne rispose: “Non ho bisogno di credere. Adesso lo so”. Una frase che ha ispirato fiumi d’inchiostro sulla ricerca di un uomo dai molti talenti – e contraddizioni – un EInzelgäger sperimentatore della psiche convinto di un suo istinto ‘naturalmente religioso’ che, a differenza di Freud, rimanda non alla sessualità ma al trascendente. Scelse la psichiatria perché vi sentiva rappresentare l’anello mancante tra scienze esatte e umanistiche e indagò ambiti poco familiari e spesso sospetti al mainstream scientifico-accademico. Lo testimonia la sua biblioteca, che oltre allo scibile di un erudito d’altri tempi, dalle patristiche alla filosofia, dall’antropologia al folclore all’etnologia, racchiude testi di simbologia, gnosticismo e incunaboli di alchimia, l’amata alchimia cui si dedicò per decenni.
Ricorda Andreas Jung che la casa rappresentò per il nonno le radici familiari e gli oneri necessari ad ancorarlo, ‘richiamarlo a terra’ da quelle lande immaginarie, impervie e spaventose dell’inconscio collettivo, deposito arcano e vivente in ciascuno, capaci di dischiudere la via dell’individuazione, che è ben altro da mero individualismo. Negli anni dell’autosperimentazione psicologica testimoniata dal suo Libro rosso, gettò le basi dialogiche e creative di una tecnica psicoterapeutica, l’immaginazione attiva, che ha ispirato metodiche terapeutico-evolutive per grandi e piccini, attraverso disegno, pittura, scultura, o il gioco della sabbia. Alla creatività quale ostetrica di un linguaggio prerazionale e vitale per la salute psichica guardava con rispetto e concretezza. Praticandola, come mostrano le foto che lo immortalano in riva al lago, con casacca e scalpello (e l’immancabile pipa), intento a scolpire sulla pietra, per (ri)portarle alla luce, visioni e fantasie.
Che oggi nasca un museo “small but exquisite” ‘nello spirito di Jung’, come dice la curatrice Cornelia Meyer, non è affatto scontato. Poteva andare diversamente, come sa ogni famiglia numerosa alle prese con un’eredità, figuriamoci di questo genere. Ha prevalso la dedizione, la tenacia e di certo l’affetto, in particolare di Andreas Jung, che in ciò ha seguito le orme del padre Franz: Andreas ora guarda “con occhio triste e felice assieme” a questo cambiamento di status dei luoghi ove ha vissuto fino a ieri, preservandoli insieme alla moglie Vreni. Su appuntamento, è così oggi possibile visitare non solo la fucina creativa della biblioteca, la ‘testa’ per così dire della casa, ma anche la sua ‘pancia’, il soggiorno, gli altri spazi di vita quotidiana come la veranda (che ancora conserva ricordi e suppellettili provenienti dalle spedizioni dell’avo nell’Africa subsahariana alla ricerca dei ‘Naturvölker’); e immaginarsi i pazienti attendere nella piccola, preziosa anticamera, oppure passeggiare nel giardino insieme a Jung. E varcato l’ingresso, dopo il richiamo a un Dio che ha da venire, ai visitatori compare, forse inaspettato, un busto di Voltaire, a ricordare l’altro spirito che sempre lo accompagnò , quello del dubbio critico e dell’ironia.