Il 9 maggio scorso presso il Club Suisse de la Presse di Ginevra il dottor Antonio Di Pietro ha fatto una conferenza dal titolo: “Mani Pulite: l’Italia 25 anni dopo”, organizzata dall’Associazione ARLS (A Riveder Le Stelle).
Come presentare Antonio Di Pietro? Classe 1950, è stato nell’ordine operaio in Germania, commissario di polizia in Italia, pubblico ministero, docente di diritto penale, senatore della repubblica. Nel 2014 ha lasciato ogni attività politica. Insieme ai magistrati come Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo, Francesco Greco, tra gli altri, Antonio Di Pietro è una personalità che ha lasciato un segno nella storia recente d’Italia.
La domanda che si è posta ad Antonio Di Pietro è la seguente: cosa dobbiamo fare per veramente ridurre la corruzione in Italia? E come questo fenomeno si è evoluto rispetto alla cosiddetta prima repubblica? Di Pietro ha affermato: “Adesso hanno capito come hanno fatto le guardie a prendere i ladri e questi sono diventati più furbi. Il risultato è che il sistema invece di migliorare si è ingegnerizzato. […] Le conseguenze non sono state quelle che ci aspettavamo. Invece di un chiarimento oggi nel nostro paese c’è il caos. Abbiamo creato un vuoto che non viene ancora riempito. Cosa fare? Certezza del diritto e certezza della pena.»
Esattamente un quarto di secolo dopo, questo anniversario dell’inchiesta Mani Pulite ci dà l’occasione di guardare il presente. Quell’inchiesta è stata all’origine, dall’alto in basso, della scomparsa di vari partiti politici. Sergio Romano, commentatore politico ed ex-ambasciatore d’Italia, ha definito questa inchiesta come une sorta di rivoluzione spinta “dall’alto” e portata avanti da un’élite di difensori della legalità.
Tuttavia, Mani Pulite è attualmente considerata come una rivoluzione mancata e Di Pietro ne ha spiegato i motivi qui di seguito. Questo anniversario tondo non ha di per sé alcun interesse. Ciò che è veramente utile è di rilevare il fatto che la Repubblica italiana è ancor oggi un paese corrotto. Qualche dato: ogni italiano paga una sovrattassa informale dovuta alla corruzione di circa mille euro all’anno. Vi sono delle stime della Banca Mondiale che stimano la corruzione in Italia in circa sessanta miliardi di euro all’anno.
È difficile verificare questi dati assoluti. Ad ogni modo, altri studi non sono di certo più incoraggianti: secondo l’indice sulla corruzione percepita, pubblicato ogni anno da Transparency International, un’ONG con sede a Berlino, il livello di corruzione in Italia è tra i più alti dell’Europa occidentale. Al primo posto dei paesi meno corrotti troviamo la Danimarca. Nella graduatoria del 2016 l’Italia occupa la sessantesima posizione precedendo il Senegal (64° posto), la Grecia (69°) e il Brasile (79°).
D’altra parte, non v’è dubbio che in Italia la qualità dei lavori pubblici è in generale scarsa e che questi lavori sono tra l’altro molto più onerosi. Il rapporto della Commissione europea del 2014 sulla lotta contro la corruzione in Italia afferma che le linee ad alta velocità sono costate in media 60 milioni di euro al chilometro, rispetto ai 10 milioni di euro al chilometro della linea Parigi-Lione, o i 9 milioni di euro al chilometro della linea Tokio-Osaka. È vero che l’Italia ha molte montagne, ma ciò non giustifica comunque questi costi.
Le operazioni sotto copertura per inchieste legate alla corruzione non sono autorizzate dalla legge italiana. Possono farsi nei casi di terrorismo, traffico di droga, crimine organizzato e pedopornografia. Come mai non sono permesse nell’indagini sulla corruzione? Si ha quasi l’impressione che oggi la classe politica non voglia sollevare questo coperchio per evitare di dare al sistema uno scrollone come quello dato da Mani Pulite.
“Andiamo con ordine – ha affermato Antonio Di Pietro – Innanzitutto in Italia il sistema politico non soffre di voglia di farsi del male da solo. […] Lei se la sente di chiedere a chi si comporta in quel modo di fare una legge con cui si fa male da solo? È chiaro che non lo fa. […] Quando quel sistema politico e imprenditoriale ha capito che noi magistrati avevamo trovato il meccanismo investigativo per scoprirli, decise di reagire lungo tre direttive: confessione, latitanza ad Hammamet o altrove, oppure vado al governo e faccio le leggi che mi servono per non farmi processare: la via berlusconiana. L’inchiesta Mani Pulite si basava sull’individuazione di due reati: il falso in bilancio e la concussione per induzione. La prima cosa che fece il primo governo Berlusconi fu di abolire il falso in bilancio e la concussione per induzione come reato.” Ha concluso Antonio Di Pietro.