L’arte del pizzai(u)olo napoletano patrimonio culturale immateriale dell

Scelta perché "rappresenta l'Italia in tutto il mondo" la pizza eleva una tradizione culinaria a un’arte culturale, ad alto impatto economico
Per l’Italia si tratta del 58esimo “bene tutelato”, il nono in Campania


La pizza napoletana diventa patrimonio dell'umanità.
Anzi, è l’arte del pizzaiuolo (ma bastava anche ‘pizzaiolo’, crediamo) napoletano che lo diventa.
Lo ha deciso, riunito sulla lontana isola di Jeju (Corea del Sud), il Comitato per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell'Unesco, riconoscendo in pratica che fare il pizzaiolo è un'arte pertanto va tutelato.
"Si tratta di un riconoscimento a lungo atteso, che premia i pizzaiuoli, il loro lavoro, la loro identità - afferma il professor Pier Luigi Petrillo, Consigliere per l'Unesco - L'Unesco ha voluto riconoscere quale patrimonio dell'umanità la creatività dei pizzaiuoli che hanno saputo trasformare elementi basici come l'acqua e la farina in una creazione di incredibile valore culturale che rappresenta l'Italia nel mondo".
Evitato quello che qualcuno chiama ‘effetto Meucci’, secondo cui inventiamo qualcosa e poi ce lo scippa chi la commercializza (come accadde col telefono e Bell). E tuteliamo un settore da 150mila addetti in Italia, un giro d’affari di 12 miliardi di euro qui e di almeno oltre 60 in giro per il mondo. Anche per questo probabilmente quella della pizza– precisamente, l'arte dei pizzaiuoli napoletani – è stata la candidatura più sostenuta a livello popolare nella storia dell’Unesco. È arrivata al Comitato raccogliendo oltre 2 milioni di firme raccolte in più di 100 Paesi.
Il dossier è stato trasmesso all’Unesco e ha così iniziato un lungo e complesso negoziato che ha coinvolto oltre 200 Paesi, Secondo la Commissione designatrice “l’arte dei pizzaiuoli ha svolto una funzione di riscatto sociale, elemento identitario di un popolo, non solo quello napoletano, ma quello dell’Italia. È un marchio di italianità nel mondo”.

Tecnica e regole ben precise
Quest’arte, che nasce e si tramanda a Napoli da secoli, di generazione in generazione, consiste nel manipolare due sostanze basilari come l’acqua e la farina in modo tale da creare dei dischi di pasta, secondo una tecnica e delle regole ben precise e un linguaggio tutto napoletano (“alluccare”, “schiaffo”, ecc.). Manipolazione della pasta, arti performative come il lancio in aria del disco di pasta (non certo per folklore, ma per consentire alla pasta di prendere ossigeno e la forma necessaria per il successivo passaggio), cottura in forni speciali e con legni particolari: sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano quest’arte che da generazione fa sognare bambini e adulti.
Tale arte ha svolto negli anni e svolge tuttora alcune importanti funzioni culturali e sociali, tra cui la principale è il forte senso di identità dei cittadini napoletani in tale pratica in cui riconoscono i valori della convivialità e della prossimità tra i componenti della comunità partenopea. Il mestiere del pizzaiuolo ha dato un’importante possibilità di riscatto sociale e di successo a tanti giovani che, provenienti da contesti difficili, si sono garantiti così un futuro lavorativo anche di ampio rispetto nella società.

Una passione planetaria
Margherita, marinara, con il cornicione alto e l’impasto soffice e sottile, tonda o a portafoglio (modello calzone per intenderci), la pizza, solo a pronunciarla ti fa venire un languorino in bocca e una irresistibile. La passione per la pizza è infatti diventata planetaria. Forse sorprende, ma i maggiori consumatori con 13 chili a testa con gli americani, mentre gli italiani guidano la classifica in Europa con 7,6 chili all’anno. A seguire ci sono gli spagnoli (4,3), i francesi e i tedeschi (4,2), i britannici (4), i belgi (3,8) e i portoghesi (3,6). Chiudono la classifica gli austriaci con 3,3 chili di pizza pro capite annui.
Ogni giorno solo in Italia si sfornano circa 5 milioni di pizze nelle circa 63mila pizzerie e locali per l’asporto, taglio e trasporto a domicilio, dove si lavorano in termini di ingredienti durante tutto l’anno 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro.

Una storia (pluri?)secolare
La versione ufficiale della storia ha sempre voluto che la pizza napoletana nota come Pizza Margherita – con pomodoro, mozzarella e basilico – fosse stata inventata nel 1889 in omaggio alla Regina Margherita di Savoia, consorte del re d’Italia Umberto I. A renderle omaggio il pizzaiolo Raffaele Esposito, imparentato con i Brandi (quelli dell’omonima pizzeria ancora esistente a Napoli) il quale, convocato alla Reggia di Capodimonte, avrebbe creato questa pizza ‘intitolata’ alla Regina ispirandosi ai tre colori della bandiera italiana. La pizza avrebbe quindi la veneranda età di 126 anni. In realtà, una più attenta ricerca nelle fonti storiche permette di assegnare alla pizza più conosciuta ed amata nel mondo un’età ben più vetusta, pur senza negare il reale – ma solo successivo – coinvolgimento della Regina Margherita.
Pare, infatti, che la pizza con le caratteristiche della Margherita veniva già preparata circa un secolo prima per la regina Maria Carolina d’Austria, consorte di Ferdinando IV di Borbone re Napoli. Pare infatti che costei, ‘iniziata’ alla pizza dal marito Ferdinando, fosse diventata un’estimatrice in particolare di quella preparata con pomodoro e mozzarella di bufala proveniente dalla regia tenuta di Carditello, e che le piacesse talmente tanto da ordinare la costruzione di un apposito forno nella propria Reggia, cosa che anni dopo fece anche Ferdinando II di Borbone, il cui forno – successivamente utilizzato per la Regina Margherita di Savoia – è tornato a funzionare a Capodimonte.
Vicenda questa suffragata dalla Commissione Europea, che nell’assegnare alla pizza napoletana il marchio STG (Specialità Tradizionale Garantita), riporta che la Margherita è nata a Napoli negli anni tra il 1796 e il 1810. Questa pizza, pertanto, ha più di due secoli, e Raffaele Esposito non fece altro che ‘riciclare’ un vecchio must napoletano del gusto fingendo di ispirarsi ai tre colori della bandiera italiana e facendone omaggio alla regina d’Italia che a quella pizza avrebbe dato per sempre il suo nome.
In base al canone fissato dalla Commissione Europea attingendo alla tradizione napoletana, la vera Margherita si presenta come una pizza di forma tonda, dalla consistenza morbida, caratterizzata da un bordo alto, conosciuto con il termine di “cornicione”. L’impasto deve essere realizzato con sola acqua, farina, lievito e sale. Deve essere infine condita con pomodoro e mozzarella STG o mozzarella di bufala D.O.P. Fondamentale è la cottura in forno a legna, non essendo ammesso l’uso di quello elettrico.

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