Le Città del Vino riunite per la Convention Nazionale- Tra cantine, vigne e borghi

Cirò – Cirò marina – Melissa

di Rocco Lettieri

Dal 21 al 24 settembre nell’area del vino Cirò DOC si è tenuto uno dei più importanti eventi regionali di attenzione, approfondimento e confronto sul vino e sull’enoturismo. Ospitata tra i comuni di Cirò Marina, di Cirò (alta) e di Melissa, la Convention Nazionale delle Città del Vino quest’anno ha festeggiato i suoi 30 anni ed ha rappresentato un sicuro valore aggiunto, anche e soprattutto in termini di comunicazione turistica e culturale, per tutti i territori del crotonese e per l’immagine complessiva della Calabria.

È quanto hanno spiegato e condiviso i sindaci di Cirò Francesco Paletta, di Melissa Gino Murgi e di Cirò Marina Nicodemo Parilla, anche nel suo ruolo di coordinatore regionale delle Città del Vino, nel corso della conferenza stampa di presentazione congiunta nel teatro Alikia del comune di Cirò Marina.

Cosa sono le Città del Vino?
L’associazione è nata il 21 marzo 1987 a Siena su impulso di 39 sindaci, da Alba a Melissa, da Montalcino a San Severo, da nord al sud, piccoli e grandi comuni, città già note nel firmamento enologico e città ancora in ombra; già allora un campione rappresentativo del ricco mosaico del vigneto Italia. Oggi l’Associazione conta più di 500 associati. Si pone come obiettivo quello di aiutare i comuni a sviluppare intorno al vino, ai prodotti locali ed enogastronomici, tutte quelle attività e quei progetti che permettono una migliore qualità della vita, uno sviluppo sostenibile, più opportunità di lavoro, promuovere lo sviluppo del turismo del vino, che coniuga qualità dei paesaggi e ambienti ben conservati, qualità del vino e dei prodotti tipici, qualità dell’offerta diffusa nel territorio ad opera delle cantine e degli operatori del settore.
La Convention Nazionale delle Città del Vino, che dopo 16 anni ha fatto di nuovo tappa in Calabria, ha preso il via da Melissa, città tra le 39 fondatrici, per poi svilupparsi tra Cirò Alta e Cirò Marina, con ospiti d’eccezione dell’evento itinerante.

Vino e non solo
Borghi storici, cultura e ristorazione autentica. L’organizzazione ha spalmato la manifestazione nei territori del cirotano, terroir dal quale proviene l’80% delle uve calabresi. Tra le altre cose si è parlato delle possibilità aperte dal PSR Calabria per lo sviluppo dell’agricoltura e della vitivinicoltura di qualità. Il Programma di Sviluppo Rurale è, infatti, uno strumento di programmazione comunitaria basato sul FEASR-Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale, che permette alle Regioni di sostenere e finanziare gli interventi del settore agricolo-forestale e accrescere lo sviluppo delle aree rurali. Nasce dal Regolamento UE n.1305/2013 e ha una durata di sette anni (2014/2020).
Tema del primo incontro: Turismo Enogastronomico – Le terre del vino “nuove città d’arte”, cultura ed enogastronomia strumenti per fare dei territori rurali nuove destinazioni turistiche – opportunità del PSR Calabria. Tra i diversi relatori: Magda Antonioli Corigliano, docente di economia e coordinatrice del MET – master in economia del turismo presso l’università Bocconi di Milano, consulente del ministero per i beni culturali e turismo e referente presso la sede della UE a Bruxelles; Carlo Pietrasanta, presidente nazionale del Movimento Turismo del Vino; Francesco Antoniolli, vice direttore della Strada del Vino e dei Sapori del Trentino; Cosimo Finzi, amministratore delegato di Astra ricerche; Isabella Brega, caporedattrice centrale delle riviste Touring; Nicodemo Librandi, produttore e ambasciatore Città del Vino e Flavia Cristaldi, ordinaria di scienze geografiche per l’ambiente e la salute a La Sapienza di Roma.

Destagionalizzare
E dalle prime relazioni è arrivato forte il monito di Magda Antonioli Corigliano: “Basta con la vista su spiagge meravigliose e deserte già da metà settembre. Ecco come non si fa turismo! L’obiettivo ora è quello di invertire questa tendenza, destagionalizzando, considerando l’evoluzione del consumatore che impone nuovi comportamenti e favorendo sinergie tra la rete imprenditoriale. Il tutto nell’ottica di una economia circolare ecosostenibile con le cantine che devono e possono diventare il principale attrattore per il territorio. Non serve copiare e clonare modelli. Non basta avere il prodotto, bisogna farlo diventare turistico a 360 gradi. Tenere conto della rivoluzione della tecnologia applicata alle prenotazioni è una questione che deve interessare anche gli amministratori pubblici. La chiave per lo sviluppo durevole di tutto il territorio sta nella programmazione e nella progettazione, finalizzata, anche ad evitare la sovrapposizione di eventi. Puntare sulla formazione continua, a partire dal basso e dalla scuola, è passaggio obbligato. Bisogna smetterla di far arrivare gente nel mese di agosto ma bisogna adoperarsi a riempire i vuoti di altri periodi dell’anno” – ha aggiunto Magda Antonioli – e ancora: “Questo percorso è possibile seguendo la politica che si è fatta per la promozione dei borghi che sta dando ottimi risultati. Bisogna puntare all’ambiente che mette insieme valori, specificità e identità. È qui in Calabria che si deve produrre la grande rivoluzione. Perché non basta avere la materia prima, e anche di buona qualità, se poi non si sa vendere”. “Questo territorio – ha aggiunto Cosimo Finzi – ricco per storia e cultura ha tutto ciò che può fare la differenza. L’enoturismo non è più di nicchia, bisogna assecondare i gusti e le esigenze dell’ospite e, soprattutto, fare in modo che il turista non stia in un solo posto ma goda di una proposta ampia ed interterritoriale. La cantina può quindi legarsi al territorio. La proposta della pensione completa è nemica di questo modello. Bisogna, quindi, programmare e capacitarsi di ciò di cui si dispone. Il prodotto da solo non basta, bisogna farlo diventare turistico”. “Un’attenta programmazione – ha chiosato Francesco Antoniolli – in altri territori ha consentito di intervenire, soprattutto in autunno o in primavera, periodi non molto vivi, con pacchetti e iniziative di più giorni. Anche la singola sagra può essere importante se non resta a sé stante ma si lega, con una buona comunicazione, ad altri elementi culturali”.
Forte il messaggio inviato dal palco di Paolo Benvenuti (direttore di Città del Vino): “Cirò è il distretto vitivinicolo più importante della Calabria: difendetelo!! Avete capito come territorio che il saldo di qualità andava fatto e ci state riuscendo. Non è un caso che siamo qui, terra storica per la lotta dei contadini”. A tutte queste sollecitazioni ha fatto eco il prof. Nicodemo Librandi, presidente del Consorzio di tutela del vino Cirò e del Melissa DOC: “La Calabria negli ultimi anni ha subito una rivoluzione prendendo finalmente coscienza che il vino può e deve fare da traino al turismo per tutto l’anno”.

Visita ai borghi…
Molte le visite culturali e altrettanto le visite alle cantine ospitanti che oltre al vino da loro prodotto hanno permesso di assaporare le specialità tipiche calabre. Giornalisti e aderenti alla Convention hanno viaggiato insieme su tre minibus e una prima riunione è stata la visita in notturno alla cittadina di Melissa un paese che “vive” ancora arroccato su un costone vista mare, con case incastonate tra tufo e cantine private. Stradine senza auto con saliscendi a non finire. Ad ogni piazzetta qualcosa da degustare e da assaporare e fatto tutto al momento da donnine imbellettate. Panelle sfornate al momento, focaccine, pane spalmato di “sardella” e di “nduja”. Altra sosta per pane e olio e olive schiacciate con peperoncino e ancora sosta per le tipiche frittelle tolte dall’olio bollente e servite inzuccherate. E ancora mozzarelline fatte al momento come pure le ricottine calde schiumate dal serio in bollitura. E naturalmente vini di Melissa DOC e Cirò DOC nelle versioni bianco, rosato e rosso, con in particolare l’assaggio del vino Fragalà.
A noi giornalisti è stata data la possibilità di visitare chiese, castelli e località marine di indicibili bellezze. A raccontarci tutto sui mercati saraceni e sul Museo civico archeologico di Cirò Marina sono stati l’archeologa Carmela Chiarello e il simpatico “sa-davvero-tutto” Elio Malena. A concludere l’intenso tour è stata la cena di gala ospitata al Grand Hotel Balestrieri di Torre Melissa.

… e alle cantine
La prima si è tenuta presso la Cantina Baroni Capoano, che sorge sulle colline sovrastanti Cirò Marina dove si erge un antico palazzo, domus dei Baroni Capoano. L’azienda si estende tra uliveti secolari e vigneti autoctoni per circa venti ettari. Da queste terre nascono vini e oli che danno autorevolezza e prestigio al Cirò. L’antica famiglia Capoano può vantare, da oltre tredici secoli, illustri personaggi nel campo scientifico, storico, giuridico, artistico ed ecclesiastico. Solo nel 1997 il dottore Capoano, medico chirurgo, iniziò ad imbottigliare mantenendo le antiche tradizioni contadine e facendole coesistere con le moderne tecnologie vinicole, avvalendosi di enologi di fama internazionale, ponendo al primo posto un principio cardine, immutato nei secoli: puntare solo e sempre alla qualità e mai alla quantità. Un pranzo a suon di musica e tarantella, con vini accompagnati a melanzane ripiene e maccheroni al sugo di capretto e ai prodotti caseari dell’azienda Masseria De Tursi. (www.capoano.it).
Seconda visita con mini convegno e cena en plein air presso l’azienda Senatore Vini…di padre in figlio, un’autentica passione di famiglia… dove si è tenuta la presentazione di due libri: Il cuore e la terra di Nicodemo Oliverio e Prevenire e curare mangiando (La regressione della Sindrome Metabolica inizia a tavola) di Stefania Moramarco ed Ercole De Masi, già Primario di Gastroenterologia oggi Gastroenterologo del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.). La famiglia Senatore è considerata, nel panorama vitivinicolo del Cirò, una testimonianza antica di competenza e tradizione. Il patrimonio dell’azienda è rappresentato da 40 ettari complessivi di cui 30 a vigna, con vini DOP e IGP. I vigneti sono coltivati rispettando le più attente tecniche di allevamento, in consulenza scientifica costante con ambienti universitari qualificati, in sintonia, in equilibrio e con il rigoroso rispetto dell’ambiente. Vini di alta qualità a base di Greco bianco, Gaglioppo, Cabernet Sauvignon e Merlot. Da ricordare: Alikia; Puntalice Rosato; Arcano Riserva; Ehos; Cassiodoro Senator e Unico Senator. (www.senatorevini.com).
La terza giornata ha avuto inizio di buon mattino con una visita alle tenute “Rosaneti” e “Palmento Murato”, che si trovano al confine tra i comuni di Rocca di Neto e di Casabona e sono di proprietà dell’azienda Librandi. Nicodemo Librandi, già ci aveva salutati nella Tenuta Vigna Feudo di Francesco Porti a Torretta, dove ci sono vigne che arrivano sino a farsi il bagno in mare. Non più di 15 metri dalla battigia. E qui avevamo avuto le prime informazioni sull’azienda, sicuramente la più importante azienda calabrese per impegno di qualità nella pur tanta quantità di bottiglie prodotte. Circa 2,5 milioni di bottiglie. “Siamo da quattro generazioni tenaci sostenitori della nostra terra, della sua ricchezza e di quello che ha rappresentato, rappresenta e soprattutto di quanto rappresenterà in futuro per il mondo del vino – ci ha detto Nicodemo Librandi - Siamo partiti dalla tradizione, dal Gaglioppo, dal Greco e dalla grande quantità di varietà autoctone presenti sul territorio della nostra regione. Siamo partiti dall’alberello e dai portainnesti storicamente usati in zona, oltre che dagli insegnamenti dei nostri esperti viticoltori con la loro abilità che affonda le radici nei secoli di storia viticola del Cirotano. Ci siamo poi rivolti ai massimi esperti del settore viticolo ed enologico, perché sapevamo che un minuzioso lavoro di ricerca ci avrebbe permesso di fissare, conservare ed esaltare il nostro patrimonio viticolo. Questo è, infatti, da sempre il nostro obiettivo e la nostra richiesta alla comunità scientifica. Lungi dal voler inventare o modificare alcunché, attraverso la scienza abbiamo semplicemente voluto capire meglio e in modo definitivo quello che di grande avevamo a disposizione. Sappiamo oggi che l’intuizione iniziale era giusta e sappiamo anche che alcune delle pagine più belle dell’enologia calabrese devono ancora essere scritte”.
Raccontare l’azienda Librandi richiederebbe un capitolo a sé. Diciamo solo che siamo stati accolti con modalità nordiche: puntualità, precisione, disponibilità, uomini e personale preparati per ogni domanda, acqua gassata fredda, frutta, bicchieri della Riedel (e non quelli di carta o di plastica che ancora abbiamo trovato), vini a temperatura perfetta per ogni tipologia di vino. Per il companatico e le pietanze. Solo qualità e tutta regionale. Accolti all’ombra di una casa museo Nicodemo Librandi, dopo aver fatto visitare i vigneti ha riassunto la storia delle due tenute attigue, che si estendono per circa 260 ettari. Furono acquistate dalla sua famiglia, una nel 1998 e l’altra nel 2001. Erano tutti terreni di coltivazione cerealicola e boschi. Appena ne divennero i proprietari i Librandi iniziarono l’opera di riqualificazione di quei terreni collinari che, oggi, sono attraversati in lungo e in largo da filari di viti a perdita d’occhio.
Il paesaggio attuale è meraviglioso: un grandissimo giardino attraversato da strade che intersecano dieci laghi artificiali, frutteti, campi sperimentali in cui si fa la selezione clonale dei vitigni autoctoni calabresi, sotto la supervisione dell’enologo scienziato piemontese docg Donato Lanati e di Dora Marchi. Le parole di una collega giornalista: “queste meraviglie della natura e della scienza entusiasmato da subito per la “calda” accoglienza e per la disponibilità di tutti che ti mettono in una sorta di soggezione e di partecipazione emotiva”.
Quarta visita prima della partenza all’azienda Santoro che di buon mattino ha offerto ai presenti la tradizionale “impanata” dei pastori calabresi (pane inzuppato nel siero, zuccherato e spalmato di ricotta fresca ancora calda); un’azienda nata da poco che ha attualmente solo 4 etichette che si ripromette una crescita abbastanza veloce nei prossimi 5 anni con nuovi impianti. Tre vini degustati: Apice bianco, Novena Rosato, Caposerra rosso.
A chiusura della Convention e degli incontri resta l’auspiciocon il quale il sindaco Francesco Paletta ha di fatto concluso i lavori. “La sfida più importante che la Calabria ed il nostro territorio in modo particolare devono saper fare propria, dopo aver ospitato questa intensa quattrogiorni dedicata al mondo del vino, alla sua produzione ed alla sua comunicazione integrata insieme alla promozione del complessivo patrimonio locale è quella di considerare la valorizzazione diffusa dell’identità non più come una opzione alternativa di natura romantica o nostalgica ma come la sola scelta praticabile per lo sviluppo strategico eco-sostenibile ed economico delle nostre destinazioni turistiche e culturali”.

Non solo vino degli dei
Non è un caso che la Convention si sia svolta in questi luoghi, che gli antichi greci avevano denominato Enotria.
Cirò Marina, Città del Vino dal 2000, coincide con l’antico territorio, dove sorgeva una colonia greca, denominata Krimisa o Cremissa, un lembo di terra fertile che degradava, come oggi, fino al mare da Punta Alice, punto estremo del golfo di Taranto. Nell’antichità, questa felice posizione, fu molto rilevante per la navigazione e facile approdo per chi veniva dall’Oriente e dalla Grecia, tant’è che, in breve tempo, divenne fulcro del commercio del vino, cui erano dediti tutti i suoi abitanti. Pare che, per facilitarne il carico sulle navi, fossero stati costruiti dei veri e propri “enodotti”, con tubi in terracotta, in moda da condurre più facilmente il vino ai punti di imbarco.
Il Cirò è proprio originario dei territori collinari di questo tratto della costa ionica che comprende Cirò, Cirò Marina, Melissa e Crucoli e, tuttora viene prodotto con quelle antiche stesse uve che, al tempo della civiltà greca, erano utilizzate per il prezioso “Cremissa”, il vino degli dei, offerto in dono agli atleti che tornavano vittoriosi dalle Olimpiadi.
Anche se oggi non è tra le regioni più rinomate per il vino, la Calabria è una ottima zona vitivinicola. Per diversi anni ha spesso fornito vini da taglio sia a produttori italiani che ad aziende estere, poiché la produzione di vino a quei tempi era caratterizzata dal colore intenso del suo vino e dal grado alcolico piuttosto elevato. In tempi più recenti la situazione invece è cambiata: la tenacia che hanno avuto i viticoltori della Calabria ha fatto in modo che oggi siano presenti nella regione delle discrete realtà produttive e degli ottimi vini calabresi di qualità.
In Calabria attualmente si possono contare circa 30.000 ettari coltivati a vigneti collinari o montani, infatti, solo il 10% della superficie vitata si estende in pianura. Qui si produce ottima uva da cui i produttori ricavano oggi, con esperienza e tecnica, vini calabresi qualitativamente pregiati. I vitigni maggiormente coltivati sono a bacca nera e rappresentano l’80% circa dell’intera produzione calabrese. Si tratta soprattutto di vitigni autoctoni a buccia rossa: Gaglioppo, Nerello Cappuccio, Nerello Mascalese, Greco Nero (di Sibari o di Verbicaro), Magliocco canino, Magliocco dolce, Mparinata (tipica uva del Cirotano), Nocera Mantonico o Nocera del Messinese, Castiglione o Marchesana (molto studiata dall’azienda Librandi).
Per i vini bianchi i vitigni più diffusi sono: Mantonico, Greco bianco, Greco di Bianco, Guarnaccia bianca, Iuvarello, Moscatello di Saracena, Moscato bianco o di Scalea, Nzolia (come la siciliana Inzolia), Occhio di Lepre e Pecorello.
In Calabria si annoverano 10 vini DOC e 10 vini IGT. La storia racconta nelle Tavole di Eraclea che “un terreno coltivato a vite qui aveva un valore sei volte superiore a quello di un terreno coltivato a cereali”. Un’altra testimonianza più vicina a noi e molto rilevante sono gli interessanti monumenti enoici custoditi nel Museo Civico di Cirò Marina, una cultura viticola quella del cirotano definita dagli storiografi “la più antica del mondo”.

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