di Garth Davis
Saroo è un bambino che vive nell’entroterra povero dell’India nella metà degli anni ’80. Un giorno segue il fratello per rimediare qualche soldo, e si perde. Finisce a Calcutta e dopo una serie di peripezie, finisce in un orfanotrofio e viene adottato da un’amorevole coppia australiana che vive sul mare, nell’isola della Tasmania. Ormai adulto, mentre si trasferisce a Melbourne per studiare, grazie a Google Earth cerca di ritrovare la stazione e quei luoghi che continuano a tormentare il suo sonno.
Quella di Saroo è una bella storia, l’adattamento del libro autobiografico dello stesso Saroo Brierley, A Long Way Home. Due sono i momenti della sua vita in cui si concentra il film: lui bambino in India, coraggioso aiutante del fratello grande e orgoglio della madre che vive raccogliendo pietre, e sempre lui parecchi anni dopo nel momento in cui cede alla nostalgia di un passato che inizia a ricordare.
Tutta la prima parte, è percorsa dal magnetismo della forza d'animo del bambino, del suo sguardo attento, del suo cuore gonfio, mentre viene catapultato suo malgrado dal nulla della casa d'origine alla vastità della megalopoli e della sua disumanità.
Nella seconda parte, il discorso cambia. Subentrano nuove tematiche, legate alla nuova famiglia, al destino della madre e alla figura del fratello "diverso", l'altra faccia della favola dell'adozione. È la parte importante, è il vero viaggio del film. Che ci conduce verso il lieto fine, che lascia dietro di sé e nello spettatore degli strascichi forse non contemplati.