di Augusto Orsi

Senza confini è il titolo della stupenda ed avvincente esposizione di Steve McCurry, foto reporter statunitense che dal 1979 ad oggi è stato presente sui campi di battaglia di tutto il mondo a testimoniare, con i suoi scatti diretti ed essenziali, le atrocità dei conflitti bellici, ma soprattutto per ritrarre con grande partecipazione umana i volti delle vittime e gli aspetti della vita quotidiana di chi soffre. Sono foto capaci di restituire gli stati d’animo delle persone in particolare attraverso gli sguardi. Paradossalmente, sarebbe bastata la foto che il fotoreporter di Filadelfia aveva scattato a Sharbat Kuba, la ragazza afgana nel campo profughi pakistano Peshawar nel 1979, per dirci la sua grandezza di ritrattista e la sua capacità di immortalare personaggi che parlano la lingua universale dei sentimenti e delle emozioni. L’immagine era diventata un’icona universale di desiderio di pace e di speranza per un mondo migliore.
Con tenacia e determinazione professionale McCurry aveva ricercato per 17 anni l’enigmatica ragazza. Ritrovatala ne aveva realizzato due ritratti, in mostra, che dicono la trasformazione del personaggio e narrano la fine di un sogno che nella prima foto abitava nei suoi grandi occhi espressivi. In lei la speranza sembra essersi spenta, ma la si ritrova in altri personaggi della pregnante ed emozionante rassegna del Pan di Napoli. Qua, la fotografia, fattasi arte della narrazione, ha come fil rouge il tema della partecipazione, senza confini, alla condizione umana, presente anche in immagini di vita che McCurry ha scattato in luoghi che non sono di guerra. Il grande fotoreporter piazza sovente con grande maestria il suo obiettivo non direttamente sulla guerra ma sugli effetti nefasti che questa produce sugli uomini, gli animali e le cose.

Nei luoghi del mondo dove spesso la vita è più difficile, Steve McCurry ha saputo cogliere immagini di grande poesia, ma anche documentare le atrocità, di cui purtroppo l’umanità si è resa protagonista, dalle Torri gemelle alla guerra del Golfo, dal conflitto in Afghanistan al Giappone dopo lo tsunami, dai bambini soldato al dolore degli ospedali, immagini dure che ci mostrano un McCurry attento e partecipe osservatore di realtà dolorose.
Il progetto espositivo realizzato magistralmente da Bibi Giacchetti è un viaggio nel mondo di McCurry, dall’ Afghanistan all’India, dal Medio Oriente al Sudest asiatico, dall’Africa a Cuba, dagli Stati Uniti all’Italia, attraverso il suo vasto e affascinante repertorio di immagini, in cui la presenza umana è sempre protagonista, anche se sola evocata. Nel suggestivo e indovinato allestimento di Peter Bottazzi, questa umanità ci viene incontro con i suoi sguardi in una sorte di caleidoscopio dove si mescolano paesi, volti, culture ed etnie colti da McCurry con straordinaria intensità. Molto valida l’audioguida proposta ai visitatori in cui McCurry racconta in prima persona, in modo sintetico ed efficace, i suoi scatti, aiutandoci a capire meglio il suo modo di fotografare, ma soprattutto la sua voglia di prossimità con la sofferenza e la speranza.
Promossa dal Comune di Napoli, assessorato alla Cultura e al Turismo e dal Pan-Palazzo Arti Napoli, allestita al Pan di via dei Mille, la mostra, organizzata da Civita Mostre in collaborazione con SudEst57, si conclude il 12 febbraio 2017.




Steve McCurry

Da circa 30 anni, Steve McCurry è considerato una delle voci più autorevoli della fotografia contemporanea. La sua maestria nell'uso del colore, l'empatia e l'umanità delle sue foto fanno sì che le sue immagini siano indimenticabili. Ha ottenuto copertine di libri e di riviste, ha pubblicato svariati libri e moltissime sono le sue mostre aperte in tutto il mondo.
Nato nei sobborghi di Philadelphia, McCurry studia cinema e storia alla Pennsylvania State University prima di andare a lavorare in un giornale locale. Dopo molti anni come freelance, compie un viaggio in India, il primo di una lunga serie. Con poco più di uno zaino per i vestiti e un altro per i rullini, si apre la strada nel subcontinente, esplorando il paese con la sua macchina fotografica.
Dopo molti mesi di viaggio, si ritrova a passare il confine con il Pakistan. Là, incontra un gruppo di rifugiati dell'Afghanistan, che gli permettono di entrare clandestinamente nel loro paese, proprio quando l'invasione russa chiudeva i confini a tutti i giornalisti occidentali. Riemergendo con i vestiti tradizionali e una folta barba, McCurry trascorre settimane tra i Mujahidin, così da mostrare al mondo le prime immagini del conflitto in Afghanistan, dando finalmente un volto umano ad ogni titolo di giornale.
Da allora, McCurry ha continuato a scattare fotografie mozzafiato in tutti i sei continenti. I suoi lavori raccontano di conflitti, di culture che stanno scomparendo, di tradizioni antiche e di culture contemporanee, ma sempre mantenendo al centro l'elemento umano che ha fatto sì che la sua immagine più famosa, la ragazza afgana, fosse una foto così potente.
McCurry ha pubblicato molti libri, tra cui The Imperial Way (1985), Monsoon (1988), Portraits (1999), A Journey Along the Coffee Trail (2015), and India (2015).