Locarno 70: continuità e innovazione
Nella conferenza stampa di presentazione esordisce dicendo che per
selezione quel centinaio di titoli che compongono l’articolato programma di
Locarno 70, lui e i suoi collaboratori di film ne hanno visionato 4'000. In
media 11 al giorno: feste comandate comprese.
Un impegno che, Carlo Chatrian, Direttore artistico del Festival
di Locarno riassume, con manifesto entusiasmo, illustrando per sommi capi
l’edizione che prende il via il prossimo 2 agosto.
Due sono le prospettive da cui si può considerare l’edizione di
quest’anno.
Una consiste nel mettere in evidenza la solidità di un evento che
resiste agli anni, alle mode, alle persone (presidenti, direttori, ecc.):
giunto alla sua settantesima edizione, Locarno è tra i grandi festival di
cinema del mondo, lo dice la sua storia, lo dicono le decine di migliaia di
film e gli ospiti transitati sulle sponde del Lago Maggiore per lasciare
frammenti di sogni ai milioni di occhi che li hanno visti.
L’altra prospettiva consiste invece nel vedere Locarno come un
festival che non sta mai fermo, che si riprogetta anno dopo anno, aggiungendo
iniziative e adattando il suo programma: quest’anno ci saranno sale nuove e
rinnovate (PalaCinema e GranRex), uno spazio per la parola (Locarno Talks), una finestra dedicata ai
più giovani (Locarno Kids) e un concorso digitale (#movieofmylife). Come accade con i fotogrammi che incessantemente
si sovrappongono, un festival sente il bisogno di cancellare l’edizione
precedente per affermare quella presente. La prima prospettiva rassicura, la
seconda eccita.
Nel pensare e poi dare forma a Locarno70
abbiamo cercato di muoverci su un binario doppio: da un lato abbiamo dato voce
a quella tradizione di cui siamo eredi, accogliendo ospiti che hanno segnato la
storia del Festival e la storia del cinema tout court, dall’altro abbiamo
riflettuto sul rilievo che film e autori hanno oggi e avranno domani. È il caso
del Pardo d’onore a Jean-Marie Straub, regista che insieme a Danièle Huillet ha
indirizzato il cinema moderno, facendo risuonare in modo diretto le “materie
prime” di cui si compone quest’arte: le parole della grande letteratura, i
corpi di persone/attori non ancora contaminati da un savoir faire che tende a
smussare le differenze, i suoni e i rumori della realtà che, istante dopo
istante, viene captata da quel sensibilissimo orecchio meccanico la cui
rilevanza cinematografica è spesso messa in secondo piano, la luce di cui è
fatta la visione delle cose… I film di Straub/Huillet sono senza tempo, in termini
estetici e produttivi hanno molto da raccontare e forse per questo oggi i
giovani cineasti e spettatori li stanno riscoprendo.
Un festival deve indirizzare lo sguardo, mettendo in evidenza
tendenze o esperienze che acquistano valore nel contesto di una disciplina che
si muove incessantemente, entrando in relazione con il mercato. Così nel
momento in cui si assiste al ritorno del “genere” come alveo in cui accogliere
visioni personali, riteniamo che la Retrospettiva Tourneur non sia un
semplice tuffo nel passato, in un universo dai canoni estetici ben definiti.
Dal nostro osservatorio privilegiato siamo convinti che le immagini e le ombre
create da Jacques Tourneur vibrano oggi più che mai. Attuale è la sua
riflessione sulla paura, su quel sentimento che ci coglie di sorpresa e rivela
l’indole delle persone. Attuale è la sua indagine sui diversi (zombie, uomini
leopardo o donne pantera) o più semplicemente sul diverso che abita in noi.
Attuale è la sua visione dei rapporti interpersonali dove la seduzione fa i
conti con il potere, dove l’inseguitore finisce preda della sua stessa
ossessione e l’inseguito resta perduto in una terra di nessuno. La voce di
Tourneur risuona non solo nel mondo del XXIesimo secolo ma anche nei diversi
film che compongono questo programma.
Il cinema è movimento nel tempo e un festival che vuole
rappresentarlo non può restare fermo ad attenderlo. I film si fanno con il
tempo e oggi più che mai le dimensioni di questo tempo appaiono dilatate.
Il programma di Locarno ospita film pensati e fatti
nell’immediatezza e progetti che hanno avuto bisogno di anni, se non decenni,
per vedere la luce. Partiamo dai due casi più eclatanti, di cui andiamo più
fieri anche perché arrivano da due maestri cari alla storia del Festival. Si
tratta di film concepiti diversi anni addietro che, per varie ragioni, fanno
oggi la loro comparsa. Il primo, più che un ritorno, è una vera e propria
apparizione. Grandeur et décadence
d’un petit commerce de cinéma, splendido
(tele)film di Jean-Luc Godard, commissionato dall’allora rete pubblica francese
TF1 viene portato a nuova vita in una versione restaurata, curata da Caroline
Champetier. Il film pensato per la tv nel 1986 vedrà la sua uscita in sala nel
2017. L’altro caso riguarda invece un’opera perduta e ritrovata.
Girato nel 1990 da Raúl Ruiz in occasione di uno dei primi rientri
in patria e mai montato, La telenovela errante, è un film che letteralmente non si è mai visto, unico per
lucidità e visionarietà. Quest’oggetto che viene dal passato ci racconta meglio
di tanti altri il presente: dall’invadenza delle immagini a un mondo di esseri
che parlano nel nulla sul nulla. Firmata da Raúl Ruiz e Valeria Sarmiento,
l’opera concorre insieme ad altre 17 per il Pardo d’oro 2017.
Il Concorso
internazionale accoglie quei film
che a vario titolo ci hanno illuminato, divertito, emozionato, messo in
discussione. Difficile ridurre la varietà delle proposte a un solo filo
conduttore. Ci sono però correnti che attraversano il programma. Diversi film
ad esempio parlano di riti di passaggio: dal confronto padre e figlio in Wajib (i due attori
Mohammad e Saleh Bakri sono davvero padre e figlio) allo scontro tra due
fratelli in Vinterbrødre (Winter
Brothers), dall’ultimo saluto alla signora Fang nel nuovo lavoro di
Wang Bing al transito tra miniere a cielo aperto ad altre nelle viscere della
terra nell’affascinante lavoro di Ben Russell. Ci sono poi passaggi inattesi e
obbligati che fanno cambiare aspetto e fisionomia alle persone. È il caso della
fragile insegnante che diventa una Madame Hyde incendiaria nella singolare
visione che Serge Bozon dà dell’educazione, o del bambino che fatica ad
attenersi alle “buone maniere” nel film del duo brasiliano Dutra-Rojas, o
ancora della ricerca personale e ossessiva di una verità sepolta nel passato,
nell’opera in prima persona di Travis Wilkerson. Ci sono film costruiti in un
rapporto strettissimo con i loro protagonisti (Harry Dean Stanton in Lucky, i culturisti in Ta peau si lisse, i due uomini soli
in Charleston, la madre in fuga in Freiheit, o il giovane futuro padre in Goliath) e altri che si aprono a descrivere delle mappe in divenire del
mondo (Gemini, QingTing Zhi Yan -
Dragonfly Eyes, 9 doigts, Gli Asteroidi).
Il concorso Cineasti del presente comprende 16
titoli di cui 13 in prima mondiale. Si tratta di una galleria per noi
estremamente significativa delle voci più sorprendenti che abbiamo incontrato
durante il percorso di selezione. Che siano intimi o universali, politici o
esistenziali, i film selezionati restituiscono l’immagine di un mondo le cui
ferite sono ancora visibili, dove però l’elemento umano è tutt’altro che
morente.
Il concorso Pardi di domani comprende 38 titoli
divisi nei due concorsi. Si tratta di un programma che contempla una grande
varietà di proposte tanto per stile quanto per durata. Si va dai 3’ di Kuckuck ai 40’ di António e Catarina, da film
sperimentali a commedie, da animazioni (La
Femme canon prodotta Claude
Barras) a film saggio.
Impreziosita da due premi, la sezione Signs of Life si conferma
un laboratorio per nuove narrazioni, tanto nella forma corta quanto in quella
lunga. La sezione contempla opere di esordio e di registi che sono già
affermati, magari proprio qui a Locarno. Tutti gli 11 film sono in prima mondiale.
Il programma della Piazza Grande è ritmato da grandi prove d’attore. Di volta in volta toccanti o
stralunati, magnetici o coinvolgenti, divertenti o commoventi: la Piazza sarà
illuminata dal talento di Noémie Lvovsky e di Mathieu Amalric, Fanny Ardant,
Mathieu Kassovitz, Vincent Macaigne e Vanessa Paradis, Jürgen Vogel, Irrfan
Khan e Golshifteh Farahani. Non potevano mancare nel programma i film
americani: oltre alla science fiction What Happened To
Monday? ci sarà la sorpresa al box office
americano di quest’estate, The Big Sick, e l’imprescindibile blockbuster, Atomic Blonde. Il grande cinema
americano e europeo sarà anche rappresentato dall’ospite Leopard Club Adrien
Brody.
La musica rock ma anche una grande avventura umana chiude il
programma con un film che si può dire sia nato sulla Piazza Grande, una
produzione ticinese dedicata al gruppo musicale Gotthard che proprio a Locarno aveva
incominciato la sua carriera.
Particolare rilievo ha come sempre la presenza svizzera: due sono
i film in Piazza Grande (The Song of Scorpions
e il citato Gotthard – one life, one soul), due in concorso (Goliath e Ta peau si lisse), una in Cineasti del presente (Dene wos guet geit il cui regista ha
partecipato alla Filmmakers Academy) e una coproduzione in Signs of Life (In Praise of Nothing).
Completano il quadro di una cinematografia increscita i sette
titoli in Fuori concorso tra cui diversi avvincenti documentari. Uno
spazio particolare, nell’ormai consueta pre-apertura del Palexpo (FEVI), è stato
offerto a Sabine Gisiger, che ritorna aLocarno con un film che fin dal titolo rivela la sua sfida. Willkommen in der Schweiz parte da un fatto di cronaca per mettere in campo un’inchiesta a 360 gradi sul
rapporto che la Svizzera ha avuto con i migranti. Scottante come tema e per la figura controversa del suo
protagonista, il film non è un’opera a tesi, ma preferisce lasciare libero lo spettatore di farsi la
sua idea. Svizzero è anche il produttore premiato con il Premio
Raimondo Rezzonico, Michel Merkt, protagonista di una stagione indimenticabilecon tre opere
finaliste agli Oscar.