Siamo nel 1948, con la Seconda guerra mondiale finita da pochi anni e la guerra fredda in arrivo anche in quella parte del mondo, congelando la collaborazione fra i partiti dei due schieramenti. In Cile il governo di Gabriel Gonzalez Videla, eletto grazie ai voti della sinistra, ha scelto di assecondare la politica statunitense e di condannare il comunismo alla clandestinità. Pablo Neruda era già il poeta nazionale, dal carisma ammaliatore di un “gigante depravato”, e da qualche tempo anche un senatore comunista naturalmente apertamente critico nei confronti del presidente Videla, tanto che quest’ultimo ne chiede la destituzione incaricando un improbabile ispettore di arrestarlo.
Il film è il racconto di questo inseguirsi di due persone che sempre di più scopriremo dipendenti una dall’altra, fino a sovrapporsi come le due anime di Neruda, quella politica impegnata attivamente e quella artistica, i due possibili sviluppi di un Paese che ancora sognava un futuro, trovandosi di fronte al bivio fra ordine e ideologia comunista.
Come per Jackie, non siamo di fronte ad un biopic tradizionale, ma ad un viaggio post moderno che raccoglie la sfida di raccontare i momenti cruciali della storia del Cile. Anima e voce dello spirito identitario cileno, Pablo Neruda è come se ci accompagnasse con la sua poesia di ribellione e di intenso amore per la vita nelle vicende tragiche - future per lui ma passate per Larrain e chi guarda il film - di un popolo glorioso e insieme macchiato dall'infamia.