di Tatiana Gaudimonte
Nel comune dove vivo, nei pressi di qualunque specchio o corso d’acqua, vige il divieto assoluto di nutrire gli animali selvatici, pesci o volatili che siano, pena il pagamento di 50 franchi di ammenda.
La spiegazione del divieto, riportata su un cartello adiacente, illustra come pane sbriciolato o altro cibo non adatto alla fauna selvatica modifichi il metabolismo di questi animali e porti alla produzione di escrementi che risultano tossici per piante e piccoli animali acquatici, comportando in definitiva con lo sconvolgimento dell’equilibrio dell’intero habitat.
Un’iniziativa sicuramente ammirevole, benché faccia storcere il naso a grandi e piccini che si divertivano a tirare briciole ad anatre e a cigni. È giustissimo salvaguardare l’ambiente e rispettare gli animali che lo abitano, anche perché, diciamolo: un laghetto putrescente non è un bel vedere.
Mi chiedo allora perché mai, accanto a tanta, sacrosanta attenzione per le creature dello stagno, non corrisponda un’altrettanto meticolosa cura verso gli appartenenti della nostra specie. Perché in nessun supermercato, bar, chiosco, distributore automatico, in corrispondenza di “cibi” raffinati, zuccherati, variamente alterati nella forma, sostanza e gusto, non ci sono dei cartelli che rendano note le conseguenze del consumo continuato di questi prodotti sul metabolismo dell’homo sapiens? Perché non scrivere a chiare lettere che alimenti poveri di fibra, per esempio, portano a uno squilibrio del nostro microbioma intestinale, deputato non solo a migliorare la digestione dei cibi ma anche alla produzione di vitamine importanti e al rinforzo del nostro sistema immunitario? Che il consumo cibo non adatto a noi (come papere nutrite a pane secco) porterà a una modifica delle nostre funzioni metaboliche, a un impoverimento delle nostre risorse, a un accumulo di grasso che verrà messo da parte per far fronte a una situazione di infiammazione generale e che con-tribuirà a fomentarla in un assurdo circolo vizioso?
Forse perché, se da una parte ripulire uno stagno infestato da residui putridi è un lavoro antipatico per gli operatori ecologici e grava sulle casse del Comune, dall’altra, invece, la collettività apparentemente non è disturbata dai…perdonate…residui putridi del Signor Rossi. Sono fatti suoi. Anzi, se tanti Signor Rossi, sentendosi debilitati e privi di energia, andranno in massa a comprare l’ultimo integratore visto in tv per “ricaricare le batterie”, tanto meglio, no? Facciamo girare l’economia! Però poi magari gli integratori non bastano, allora quei Signor Rossi andranno a farsi visitare e/o prescrivere esami…ed ecco che di nuovo, le conseguenze di una cattiva alimentazione andranno a pesare sulla collettività, anche se in modo più discreto e subdolo rispetto a uno stagno puzzolente.
Dal momento che, finora, a nessuna autorità competente è venuto in mente di salvaguardare la nostra specie e il nostro ambiente dai rischi connessi a consumo di cibo non adeguato (nemmeno un velocissimo “può danneggiare la salute ed avere effetti collaterali” a fine spot!), la responsabilità della nostra salvaguardia ricade sulla nostra scelta quotidiana. Fateci un pensierino, alla vostra prossima spesa.
Starnazzanti saluti dalla vostra
Tatiana Gaudimonte