di Fabio Dozio
Nel 2016 in Svizzera sono sparite 990 aziende agricole e ora ne rimangono 52’263. Nel 1990 erano più di 92 mila.
Tempi grami per i piccoli contadini che da anni, in Svizzera, diminuiscono. C’è chi è anziano e non ha nessuno che rileva l’azienda, c’è chi non ce la fa più e deve liquidare terre e animali.
Quasi mille aziende svanite l’anno scorso. È uno
stillicidio che non sembra aver fine. Gli impieghi sono diminuiti registrando un calo di 1,3% rispetto all’anno precedente. Nel 2016 nel settore agricolo lavoravano 152’400 persone.
La superficie agricola è rimasta stabile, è un dato confortante: significa che i campi delle piccole aziende sono assorbiti da fattorie più grandi. La "Rilevazione della struttura delle aziende agricole”, pubblicata dall’Ufficio federale di statistica a metà maggio, conferma che la dimensione media delle fattorie è aumentata.
Un altro aspetto positivo e consolante è l’interesse che si conferma in questi anni per la produzione biologica. Le aziende agricole che la praticano, nel 2016, erano 6’348, 104 più dell’anno prima.
Come spesso accade, dietro ai numeri si celano anche drammi umani. Centinaia di aziende agricole chiuse o fallite significa persone e famiglie confrontate con una crisi che non è solo economica, ma anche sociale e personale. Nella Svizzera interna si è aperto un Telefono amico per i contadini (Bauerliches Sorgentelefon) fondato da Lukas Schwyn, un pastore protestante bernese, che ha lo scopo di aiutare i contadini e le contadine in difficoltà. Un segnale che rivela la criticità del settore agricolo. Caritas, da parte sua, è alla ricerca di 800 persone dai 18 anni in su per “dare una mano per almeno cinque giorni di fila” alle famiglie contadine in difficoltà nei periodi di maggior lavoro.
La politica agricola svizzera è da sempre sostenuta da una potente lobby parlamentare che, però, tende a privilegiare gli interessi delle grandi aziende di pianura. Dopo lo choc della seconda guerra mondiale, quando la Svizzera, con il piano proposto dal consigliere federale Wahlen, ha piantato patate in tutti i giardini pubblici per garantire la sussistenza alla popolazione, il settore primario ha goduto di grande attenzione da parte dello Stato. Dagli anni cinquanta si è incentivata una politica di sussidi messa in discussione solo negli anni novanta, quando si è passati alla politica dei pagamenti diretti. In sostanza si è passati dal regime delle sovvenzioni a pagamenti concessi agli agricoltori e allevatori in base a prestazioni precise e definite.
Lo Stato sostiene l’agricoltura non solo perché garantisce una sicurezza di approvvigionamento, ma anche per altri scopi: salvaguardare il paesaggio rurale e la sua qualità, garantire la biodiversità, promuovere sistemi di produzione rispettosi dell’ambiente e l’efficienza delle risorse. Insomma, i contadini sono i giardinieri del Paese. Se attraversando l’altopiano piuttosto che il giura o le nostre Prealpi vediamo prati segati e puliti, pascoli irreprensibili, boschi delimitati è grazie al lavoro dei contadini. “L’agricoltura serve a tutti” è un vecchio slogan caro al ceto agricolo!
I pagamenti diretti elargiti dalla Confederazione alle aziende agricole ammontano a 2,8 miliardi di franchi l’anno. Il nostro Paese, fra i 34 dell’OCSE, è quello che offre maggior sostegno, in termini finanziari, al settore primario. E malgrado ciò i prezzi dei prodotti ortofrutticoli e delle carni è più alto che nei paesi europei vicini.
Da anni stiamo assistendo a un fenomeno conosciuto: i piccoli produttori o allevatori sono messi in ginocchio e fagocitati dalle grandi aziende che, grazie all’l’innovazione tecnologica, aumentano la produzione e fanno calare i prezzi.
Ma non è finita: i piccoli che non riescono a ritagliarsi una nicchia di sopravvivenza, scegliendo colture attrattive o produzioni originali (pensiamo ai formaggi, per esempio), offrendo servizi di agriturismo o altre innovazioni, sono destinati a scomparire, a dipendenza di come la Svizzera riuscirà a destreggiarsi tra globalizzazione, protezionismo e pressioni dell’Unione europea.