di Vittoria Cesari Lusso
Nel passaggio dall’anno vecchio a quello nuovo, tutti abbiamo fatto il pieno di auguri. Formulati e ricevuti. Le frasi utilizzate sono di vario tipo, ma in genere tutte contengono, sotto qualche forma, auspici di felicità per il 2018.
Guardando i biglietti di auguri che si impilano su un mobile della mia entrata, mi viene spontanea la domanda: in che cosa consiste questa felicità che tutti ci auguriamo? Dalla notte dei tempi il fior fiore di pensatori, poeti e studiosi del comportamento umano ha provato a definire tale agognato stato d’animo. Il problema non è dunque quello di inventare una definizione in più, bensì di sceglierne una non troppo complicata che ci permetta di cominciare a ragionare. Quella che mi sembra adatta allo scopo è “Felicità: insieme di sensazioni piacevoli del corpo e dell’intelletto che procurano benessere e gioia per un tempo più o meno lungo”. La felicità può assumere diverse sfumature quali serenità, appagamento, soddisfazione, letizia, allegria, esultanza, tripudio.
L’essere umano, fin dalla sua comparsa, ricerca la felicità sostanzialmente in due modi: appagando i propri bisogni e desideri; evitando le sofferenze.
In via prioritaria è necessario soddisfare bisogni di tipo fondamentale: se ho fame, sete, freddo, paura non posso essere felice. Se sono in preda a dolori fisici, il mio umore si appassirà tristemente. Se mi sento solo, non amato e non appagato sul piano affettivo e sessuale proverò automaticamente sensazioni e visioni dalle tinte fosche. Se i miei valori vengono calpestati, il disagio si impadronirà del mio essere.
Tuttavia la sensazione di felicità non deriva dalla semplice (si fa per dire) assenza assoluta di privazioni e sofferenze, ma dalla loro cessazione. Vere e proprie esplosioni di gioia accompagnano l’uscita dal tunnel della malattia, oppure la fine di stenti e incubi dovuti a guerre e conflitti, oppure ancora la scoperta di una oasi con acqua e frutti quando si è sperduti in un deserto sconfinato. La fine della sofferenza appare dunque come una delle possibili sorgenti di felicità.
Non è ovviamente necessario rischiare la vita per provare una gioia travolgente. È però sempre necessario aver compiuto un percorso irto di ostacoli che richiedono perseveranza, impegno e lavoro. Una laurea a pieni voti, la soluzione di un enigma, l’arrivo in cima a una montagna, un successo sportivo regalano fiducia in sé stessi, soddisfazione per lo sforzo compiuto e la possibilità di dirsi: ce l’ho fatta! Posso essere fiero di me! Ricompensa questa che offre un contributo alla felicità spesso più consistente delle rimunerazioni pecuniarie.
In effetti, in molti casi il nemico numero uno della felicità è la facilità (attenzione a questo elefante spesso invisibile). In campo educativo è bene non dimenticarlo. Nel nostro mondo di figli unici circondati da pletore di adulti sempre pronti ad anticipare ogni loro desiderio, a soddisfare ogni loro capriccio, a evitare loro ogni ostacolo e fatica, a compatirli di fronte ad ogni intoppo, il rischio di renderli infelici non è da trascurare. Detto altrimenti, i bambini viziati sono più degli altri a rischio di infelicità. Avere tutto e subito senza bisogno di aspettare e di faticare li condanna al limbo dell’apatia.
Ci sono poi persone che sembrano ricavare “felicità” dalle disgrazie altrui (e per converso soffrire delle altrui soddisfazioni). In piccole dosi non è un dramma. È la vita. Succede quando si è in posizione di rivalità. Nelle gare, gli atleti e i loro tifosi gioiscono quando gli antagonisti hanno risultati deludenti. Negli affari non si piange certo quanto un concorrente fallisce. Il piacere del successo in politica si accompagna al sottile godimento per l’umiliazione inflitta all’avversario. Molto più grave invece è quando si ha a che fare con incalliti guastafeste: individui a cui basta vedere un sorriso sulle vostre labbra per dire o fare cose in grado di spegnere la vostra gioia. A livello sociale poi, una delle tragedie moderne è vedere intere comunità esultare per le stragi compiute da questo o quel gruppo terrorista.
C’è un’età per la felicità? Secondo Epicuro la felicità intesa come benessere dell’anima può addirittura aumentare con l’avanzare degli anni, a patto che si possano soddisfare quelli che lui chiama i “bisogni naturali necessari”, quali l’amicizia, la conoscenza, la libertà, l’amore, le cure, una casa accogliente, ecc. Anche la soddisfazione di bisogni “naturali ma non necessari” (ad esempio il lusso) può essere fonte di benessere, sempre a patto che non richieda sacrifici eccessivi e non danneggi il prossimo. Altri bisogni come il potere e la gloria sono invece spesso fonte di ansia, di paranoia e tormenti. Ergo, di infelicità.
A questo punto l’augurio che mi sento di fare per il 2018 è che la felicità nei mesi a venire sia la giusta ricompensa per coloro che prodigano ogni giorno sforzi nello studio, nell’educazione delle giovani generazioni, nel lavoro onesto e nella promozione della pace.