di Domenico Cosentino
L’invito era stato inviato dalla “Cooperativa Terre Joniche – Libera Terra”, fondata da Don Ciotti. E sul mio WhatsApp era apparsa una immagine, una foto di un gruppo di persone (donne, bambini, giovani e qualche anziano) che seminava un campo ben arato e preparato alla semina. Sotto la foto un messaggio: “Vieni anche tu a seminare il Futuro. Abbiamo letto il tuo articolo apparso sulla Rivista “Le Fattorie del Futuro” e lo condividiamo in pieno. Ci fa piacere sapere che sempre più numerosi, anche in Italia, sono i giovani che gestiscono Aziende Agricole secondo la nuova rivoluzione verde che sposa gastronomia e ambiente. Noi è da sette anni che lo facciamo: “Seminiamo il futuro” che non è solo un’occasione festosa, per grandi e piccini, curiosi e appassionati del Bio, ma è anche una iniziativa di semina collettiva per sensibilizzare le persone sul tema della provenienza del cibo e del futuro dell’agricoltura, che offre, infine, l’opportunità a tutti di rinnovare l’antico gesto della semina a spaglio, cioè con le mani, condividendolo con persone che riconoscono lo straordinario valore racchiuso in un chicco. L’attività di semina avrà luogo su un terreno confiscato al Clan Arena, una delle organizzazioni storiche e più potenti della `ndrangheta calabrese. L’appuntamento è per Domenica 15 ottobre 2017, con inizio alle ore 10 in località ”Cepa” di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. Ti aspettiamo, Raffaella Cenci, Presidente della Cooperativa”.
Risposi alcuni minuti dopo, sempre via cellulare, che sarei stato presente, curioso e interessato di conoscere quei coraggiosi e infaticabili animatori della cooperativa “Terre Joniche”: ragazzi provenienti dalle 5 provincie calabresi, nonché dall’Emilia, dal Veneto, dal Friuli, dal Piemonte e la loro Azienda Agricola.
Nata in Svizzera e portata in Italia
“Seminare il Futuro”, la campagna di sensibilizzazione ambientale, che torna in tutta Italia, ogni anno, sin dal 2011, a volerla dire tutta, non è un’idea “Made in Italy”. Il viaggiatore goloso conosceva l’iniziativa e sapeva chi ne erano stati i fondatori: “Seminiamo insieme per un’agricoltura libera”, è stato per anni lo Slogan di Peter Kunz, Selezionatore di Cereali Biologici e fondatore, insieme a Ueli Hurter, Agricoltore Biodinamico, dell’iniziativa nata nel 2006 in Svizzera e portata in Italia da EcoNaturaSi nel 2011.
Peter e Ueli ne erano convinti fin dal primo giorno in cui venne loro l’idea: “Bisogna – sostenevano - per almeno una volta all’anno, seminare insieme con persone che riconoscono lo straordinario valore racchiuso in un chicco, perché è dal seme che nasce la vita, e noi siamo tra il cielo e la terra, tra questi dobbiamo creare la comunicazione. Dunque – esortavano - tutti sui campi a seminare, perché è da lì che nascono le piante e i frutti sani del futuro. E perché - “Seminare il Futuro” rappresenta, inoltre, un modo per ribadire l‘importanza delle sementi biologiche e biodinamiche che sostituiscono la più valida alternativa agli OGM. Le sementi scelte per la semina, infatti, provengono da un processo che punta ad ottenere piante sane, robuste e riseminabili, rinunciando all’uso di ibridi e alla manipolazione genetica”.
Nella Terra libera dalle cosche
Nel Comune di Isola Capo Rizzuto, sui terreni che un tempo appartenevano alle cosche Arena e Nicosia – malavitosi potenti e sanguinari, e per questo tra i più colpiti dai provvedimenti giudiziari di sequestro – il viaggiatore goloso era arrivato verso le ore 10.00, poco minuti prima che iniziasse la semina. Della confisca conosceva tutta la storia, avendola seguita, in passato su i Quotidiani nazionali e regionali come: La Repubblica, Il Quotidiano della Calabria e Gazzetta del Sud. Sapeva che erano stati confiscati 100 ettari di terreni con annesse varie strutture. E che il provvedimento di confisca emesso nei confronti del clan Arena era diventato definitivo nel 2007. A partire dall’anno successivo, con l’insediamento di una nuova giunta comunale guidata da una donna “tosta”, determinata e fortemente coraggiosa, Carolina Girasole, che “dichiarò guerra” alla cosca Arena, furono avviati subito gli accordi con la Prefettura di Crotone e l’Associazione Libera di Don Ciotti, che si concretizzarono con un protocollo d’intesa stipulato nel settembre 2010, nel quale si delineò il percorso, finalizzato alla costituzione di una Cooperativa Sociale per la gestione dei terreni confiscati nei territori dei comuni di Isola Capo Rizzuto e Cirò. Il progetto si concluse nel gennaio 2013 con la costituzione, attraverso un bando pubblico, della “Coop. Terre Joniche-Libera Terra”.
La maggior parte dei terreni è di notevole pregio ambientale e paesaggistico; si tratta di un’area pianeggiante, fertile, a pochi chilometri dalla costa dell’Area Marina Protetta “Capo Rizzuto”. Fin dalla sua nascita, si era convenuto che la cooperativa potesse operare su tre direttrici: l’agricoltura biologica, il turismo sociale (creando un ostello per i giovani), i servizi di tutela ambientale e paesaggistica. Tutte attività che i 9 soci della cooperativa ai quali si affiancano due lavoratori non soci diversamente abili, svolgono, giornalmente, con estremo coraggio, senza mai indietreggiare di un passo, anche quando si sono trovati d’innanzi all’ennesima intimidazione: al nuovo incendio che ha mandato in fumo (letteralmente) anni di lavoro. Ad oggi, la produzione è concentrata a ceci, lenticchie, cicerchia, farro, orzo e grano; cui si aggiunge una prima produzione di olio extravergine d’oliva e una sperimentazione su due ettari di finocchio.
Un seme di speranza in una terra segnata da fatti criminosi, lo dimostra anche la vigna, una piccola vigna ben tenuta dove, per la prima volta, dopo tre anni di cura per convertire il terreno in biologico, la Cooperativa Terre Joniche è riuscita a produrre un “Vino Naturale”, coltivando uve autoctone di Nerello Calabrese e Gaglioppo.
Semina del “favino” per rinvigorire i campi
In località, “Cepa”, dunque, dove alle ore dieci del mattino, erano convenuti, oltre ai rappresentanti della stampa, una cinquantina di persone, in tenuta casual. Raffaela Cenci, presidente della “Cooperativa Terre Joniche-Libera Terra” nel porgere i saluti di benvenuto, ha ricordato brevemente che la loro attività si svolge su un terreno confiscato e utilizzato esclusivamente per rotazioni di agricoltura biologica. Quest’anno, ha concluso, dopo aver illustrato il programma, dove era previsto anche un pranzo al sacco, semineremo del “favino”, utilizzato per rinvigorire i campi, tra un anno e l’altro, rispetto alle colture di cereali. Poi, consegnato ad ogni convenuto un sacchetto di “favino”, ha invitato donne, uomini e i tanti ragazzi, a seguirla sul campo, dove è iniziata la semina collettiva, guidata da Umberto, un giovane agronomo di Parma, infaticabile animatore della Cooperativa, arrivato in Calabria, per amore, sedici anni fa, per seguire la ragazza calabrese conosciuta all’Università di Scienze naturali.
Pranzo frugale, Timballo di Pasta e melanzane; patate e peperoni
Quando la presidente, Raffaella Cenci, aveva parlato di pranzo al sacco, il viaggiatore goloso aveva pensato ad un panino ed una bottiglietta di acqua minerale da consumare lì sul campo. Niente di più sbagliato: i partecipanti sono stati invitati e ospitati presso una struttura gestita dalla cooperativa, adibita per l’occasione a ristorante e ubicata nel centro aziendale, situata a circa 3 chilometri dal mare Jonio. La cucina, quel giorno, era gestita da volontari: un gruppo di donne di Isola Capo Rizzuto, coadiuvate da una responsabile sia in cucina che in sala, messa a disposizione dalla Cooperativa. Irene Rhomito, laureata in agronomia, arrivata dall’Albania perché ama queste terre, e che di solito è il “motore” di tutto quello che si coltiva a Terre joniche, quel giorno ha diretto il personale, sia in cucina che in sala. Si è iniziato con gli affettati. E stando seduto attorno ad una lunga tavolata insieme agli altri convitati al viaggiatore goloso è stato servito un piatto misto di salumi e formaggi tipici calabresi, è seguita una abbondante porzione di timballo di pasta con le melanzane, e per concludere, niente dessert, ma un piatto gustoso di patate e peperoni. Semplice, frugale e buono pranzo al sacco. Discreto anche il vino rosso, quello fatto dalla Cooperativa al “naturale”. Che secondo Irene Romohito – che lo ha voluto sottolinearlo fortemente – si può definire vino naturale, “Solo quando il vino non ha visto chimica nella vigna e non ha visto alcun prodotto enologico, escluso forse , una eventuale dose minima di solforosa, in cantina!”.
LA RICETTA
Patate e Peperoni secondo le donne d’Irene
Ingredienti: 4 patate, 4 peperoni, 2 pomodori a fiaschetto tipo San Marzano, 2 cipollotti freschi, 40 g di olio extravergine, foglioline di basilico e sale.
Come le hanno preparato le donne d’Isola. Hanno pelato le patate e le hanno tagliate a fette grosse. Lo stesso hanno fattoi con i peperoni dopo averli lavati e asciugati. Hanno scaldato l’olio in una padella di ferro e hanno fatto friggere lentamente le patate e i peperoni, coprendo la padella (il coperchio è importante al fine della cottura: Il risultato deve essere di un piatto di patate e peperoni “stufate”, legate insieme e non bruciacchiate!). Dopo alcuni minuti, hanno aggiunto i cipollotti tagliati a fette e i pomodori a cubetti. Hanno rimesso i coperchi e fatto cuocere per ancora 10 minuti. A fine cottura, hanno profumato con le foglie di basilico, aggiustato di sale e portate a tavola.
Il Vino: Naturalmente Rosso e comunque naturale.