Sangue del mio sangue

di Marco Bellocchio


Bobbio, ieri. Federico, uomo d'arme a cavallo, bussa alla porta di un convento per riabilitare la memoria di Fabrizio, il fratello sacerdote morto suicida. Di aver condotto il giovane al gesto estremo è accusata Benedetta, una giovane suora che secondo l'Inquisizione lo avrebbe amato, sedotto e condotto alla follia. Ma la vendetta di Federico volge presto in desiderio. Refrattaria al pentimento e agita dal piacere, Benedetta è condannata alla prigione perpetua e murata viva in una cella del convento.
Bobbio, oggi. Federico, sedicente ispettore del Ministero, bussa al medesimo convento, che, apparentemente abbandonato ai capricci delle stagioni e all'incuria del comune, è abitato da un enigmatico conte, che ha abbandonato i vivi per i redivivi. Coniuge 'estinto' di una vedova (in)consolabile, il conte lascia la sua cella di notte e attraversa il paese interrogando amici e nemici sullo 'stato delle cose'.


Bellocchio gira un film che gli è familiare in più di un senso (per i luoghi raccontati, gli interpreti coinvolti, perfino per i temi) e che gli permette di sciogliere la sua fantasiosa creatività, alternando il rigore ingannevole della ricostruzione d’epoca all’ironia surreale con cui tratteggia l’attualità. Così, tra quadri del XVII secolo accompagnati da una versione corale di Nothing Else Matters dei Metallica, stanchi vampiri contemporanei, passioni fatali e piccole e grandi truffe, il film procede ai limiti del sarcastico per raccontare piccole, eterne verità come quelle relative all'inadeguatezza degli uomini, alle loro piccole meschinità, all'arroganza ottusa di ogni autorità e all’eterno femminino che è insieme salvezza e dannazione, vita e morte.

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