di Vittoria Cesari Lusso
L’immagine paradossale dell’elefante invisibile che dà il nome a questa rubrica si confà particolarmente bene ai processi di separazione. Questi hanno una portata enorme (come un elefante!), che risulta tuttavia opaca a priori per la maggior parte di noi umani. Difficile accorgersi delle complesse implicazioni del passaggio del “pachiderma”. Ciò vale per diversi tipi di separazione: tra bambino e genitore, tra ex-innamorati, all’interno di partiti politici, nel contesto di uno stato.
Quando una vita umana sboccia, nascita biologica e nascita psicologica non coincidono. Nei primi mesi il piccolo vive infatti una sorta di simbiosi con chi l’ha generato e lo cura. Solo in seguito, tra il quarto mese e il terzo anno, prende gradatamente consistenza un doppio processo di separazione-individuazione che porta il cucciolo a percepirsi come entità distinta e individuale. I progressi nell’attività motoria lo spingono a esplorare attivamente l’ambiente e a sperimentare una serie di movimenti di allontanamento e avvicinamento, alla ricerca inconsapevole di una “distanza ottimale” da mamma e papà, tale da permettergli di tollerare l’atavica angoscia da separazione. È in questa fase che si sceglie un pezzo di stoffa, un pupazzo, un giocattolo da recare con sé. Gli psicologi lo chiamano “oggetto transizionale”. Esso svolge la fondamentale funzione di rendere i momenti di assenza dei genitori più sopportabili. Dopo i tre anni normalmente il bambino si sente interiormente più sicuro e più capace di sopportare attese e frustrazioni. Tuttavia, il processo di separazione-individuazione non è mai del tutto terminato. Le antiche angosce possono riemergere nelle situazioni difficili.
Poi arriva la pre-adolescenza. I figli iniziano a non funzionare più come prima. “Rivoglio la mia bambina!” ha esclamato una giovane madre durante una mia recente conferenza sul tale fase dello sviluppo. Come non capirla! I genitori (e anche i nonni) sono disorientati. I giovani virgulti sembrano chiedere tutto e il contrario di tutto. Da un lato, i pre-adolescenti pretendono magari di essere lasciati a 300 metri dalla scuola perché si vergognano di farsi vedere con mamma e papà. Dall’altro, alla sera diventano appiccicosi e chiedono coccole e carezze a gogo. E spesso lo fanno proprio nel momento sbagliato, quando il genitore stressato non può impedirsi di reagire con fastidio. Ma loro tornano alla carica. Anche rendersi noiosi li rassicura.
Durante lo tsunami dell’adolescenza, le richieste di autonomia aumentano, il corpo cambia e cresce in modo spettacolare, come pure la presunzione di onnipotenza. L’adolescente cerca di creare intorno a sé una zona di mistero, smette di raccontare le sue giornate, si chiude in camera attaccando alla porta manifesti dal contenuto minaccioso: “Proibito entrare!” “Zona minata!”. E se esce dalla camera lo fa con il telefonino tra le mani e le cuffiette alle orecchie. Nel tentativo di separarsi dai genitori, si mostra distante, antipatico, critico, aggressivo. Sputa frasi e giudizi a volte terribili. Le emozioni sono al massimo: o è felicissimo o disperato.
Imparare a separarsi senza tragedie è uno dei fondamentali compiti evolutivi. Molte delle affascinanti favole che ci raccontavano da bambini servivano a farci integrare il modello dell’eroe/eroina che diventa capace di spiccare il volo dopo aver attraversato perigliose turbolenze. La capacità di ben separarsi evita potenziali sbocchi drammatici. Due in particolare: una patologica dipendenza affettiva dalla famiglia di origine; il bisogno violento di far scorrere lacrime e sangue ogni volta che si è confrontati all’esperienza della separazione. In amore, le separazioni tra ex-amanti diventano non di rado un dramma costellato di rancori, accuse, violenza. In politica, quando un individuo o un gruppo di individui lascia il “movimento o partito di origine”, i giornali non hanno difficoltà a riempire pagine con attacchi, denigrazioni, invettive che gli uni e gli altri si lanciano reciprocamente. Un fiume di tweet e di post rendono edotto il pubblico sulle malefatte del “nemico del momento”.
Oggigiorno ci sono non poche regioni che chiedono di separarsi dagli stati di appartenenza. La sfida è enorme per tutti i contendenti. Non si è soltanto confrontati a progetti, interessi economici e politici divergenti, ma a un’alluvione di emozioni arcaiche individuali e collettive che fanno da potenziale miccia a incendi devastanti. Le regioni che invocano la separazione dallo “stato-madre (padre?)” ostentano argomenti quali la loro identità linguistica e culturale, l’appartenenza a un territorio ben definito, le differenze salienti sul piano economico… Ma c’è solo questo? Interessante notare che sono tutte differenze che troviamo anche in terra elvetica… ma a nessuno degli elvetici viene in mente di creare un movimento per l’indipendenza di una parte.
Forse vale la pena di approfondire la questione.