di Giuseppe Muscardini
Per usare un'espressione oggi molto diffusa, la mission culturale di Francesco De Sanctis nel periodo in cui fu docente di Letteratura italiana al Politecnico di Zurigo, si sostanzia in un'intensa attività intellettuale, non priva di iniziali amarezze e nostalgie.
Parafrasando la nota massima di Porfirogenito Gagliardi de Curtis di Bisanzio, in arte Totò, secondo cui l’umanità è divisa in due categorie di persone, uomini e caporali, per associazione non possiamo evitare di richiamare le parole incise nella lapide affissa su una parete del Politecnico di Zurigo. Vi è effigiato Francesco De Sanctis, e un'iscrizione sottostante recita: Prima di essere ingegneri voi siete uomini. Espressione che l'insigne studioso impiegò nel 1856 nella sua Prolusione di insediamento al Politecnico.
Un irpino a Zurigo
Ricorrendo quest'anno il secondo centenario della nascita del filologo irpino, autore nel 1870 di quel caposaldo della cultura storiografica che è la Storia della letteratura italiana, nel rievocarne la figura e l'opera non si può sottacere che dal 1856 al 1860 occupò la cattedra di Letteratura italiana presso l'Eidgenössische Technische Hochschule. Un periodo stimolante per il nostro intellettuale, destinato a ricoprire dal 1861 la carica di Ministro della Pubblica Istruzione dell'ultimo Governo Cavour. Né vanno sottaciute le traversie che contrassegnarono gli anni zurighesi, dai primi sforzi compiuti per integrarsi nella città alla ricerca di un'abitazione; il tutto condito dalla passione per il suo mestiere e da una comprensibile nostalgia di casa, palesata nella sofferta corrispondenza con parenti e amici. Fra questi l'allievo Pasquale Villari, poi valente storico, uomo politico e senatore del Regno d'Italia. A Villari, chiamato affettuosamente Pasqualino, De Sanctis scriveva da Zurigo il 16 giugno 1857: “Meno una vita seccantissima, caro Pasqualino. Passo la parte del tempo a dormire o a fantasticare sciocchezze. Vivo nel vuoto e nell'indeterminato. La solitudine mi pesa e non fo alcuno sforzo per uscirne. Odio la gente fino al punto, che per l'inverno prossimo ho preso in fitto una casa distante tre miglia da Zurigo. Così l'inverno o dovrò morire di noia o dovrò lavorare per forza. Amici, non ne ho nessuno. Sono fiacco, sonnolento; ho l'occhio incerto; non oso di guardare in faccia la gente, come se avessi commesso qualche delitto. È una situazione violenta da cui non so come uscire”.
Malgrado i cedimenti emotivi al limite della depressione, nel periodo trascorso a Zurigo la sua coerenza di critico e filologo si rafforzò: si rileggano le pagine delle lezioni zurighesi sulla poesia cavalleresca, confrontandole con il vasto capitolo XIII della Storia della letteratura; oppure i testi delle conferenze su Petrarca tenute nel biennio 1858-1859. Dal raffronto emergerà a chiare lettere come in lui l'analisi critica muovesse già all'epoca da un metodo storiografico attento e puntuale applicato allo studio della letteratura. De Sanctis non poteva tollerare sul piano filologico distorsioni di sorta, anche quando le facili interpretazioni dei contemporanei erano motivate da enfasi risorgimentale. Una cosa era il sentimento nazionale, altra era l’opinione sull'opera delle glorie letterarie italiane di cui disquisiva nelle aule del Politecnico, rifiutando tutte quelle approssimazioni che erano più vicine alle malattie dell’ideale che non a rigore filologico. La sua era una dunque una concezione antiretorica di ogni metodo critico in cui si ravvisassero costruzioni artificiose e improprie sulla letteratura italiana.
La Prolusione d'insediamento: valenze culturali e significati condivisi
Quasi a voler mitigare oggi il sentimento di desolazione che dovette avvertire De Sanctis nei primi mesi della sua permanenza zurighese (ben circostanziato da Giuseppe Zoppi in Francesco De Santis a Zurigo, ne Le lettere da Zurigo prefate dall'ex-allievo Benedetto Croce, o nel più recente intervento di Renato Martinoni contenuto ne L'Italia in Svizzera), evocheremo un episodio dell'esperienza patriottica del filologo irpino.
A chi è affezionato all'aneddoto più che all'obiettività scientifica, gioverà forse apprendere che nella giornata del 15 maggio 1848, nel pieno della cruenta lotta del popolo napoletano contro la tirannia borbonica, De Sanctis fu arrestato e tolto a forza dalle barricate dai soldati del I e IV Reggimento Svizzero, che sulla base di trattati risalenti al XVIII secolo affiancavano le milizie del Regno delle Due Sicilie per garantire la sicurezza e sedare le insurrezioni. Singolare il suo sforzo nel cercare di convincere i militari svizzeri che i tumulti napoletani avevano un legittimo fondamento. In strada, strattonato dai soldati, non si dimenava ma usava le parole come strumento di persuasione, richiamando le lotte dell'Elvezia contro l'Austria e la vicenda di Guglielmo Tell, che nel Cantone di Uri si ribellò alla protervia del balivo Gessler. Le cronache raccontano che i soldati svizzeri si fermarono ad ascoltare quel sovversivo di trent'anni, istruito e sicuro di quanto affermava.
Da qui dovremmo partire per comprendere i significati della sua Prolusione d'insediamento che con il titolo affettuoso di A' miei giovani tanta eco ebbe tra gli studenti del Politecnico di Zurigo. In epigrafe vi troviamo citato Dante, con i noti versi tratti dall'Inferno (XXVI, 118): Considerate la vostra semenza; / Fatti non foste a viver come bruti, / Ma a seguitar virtute e canoscenza; un invito rivolto agli studenti perché estendessero il loro sapere rinunciando alle bassezze morali. Vi è citato Giacomo Leopardi, anima scissa e discorde, ma capace di alternare, nella vita infelice, l'equilibrio alla lotta interiore. Vi è citato Alessandro Manzoni, che con l'ode Marzo 1821 testimoniò quanto fosse facile per la gente del popolo illudersi sulle condotte apparentemente libertarie di regnanti e politici, salvo poi ricredersi sul loro operato e avvertire l'inganno.
Un patto tra fratelli
Non furono messaggi né allusivi né subliminali, quelli indirizzati da De Sanctis ai suoi giovani dalla cattedra di Zurigo; ma chiari orientamenti per un'esistenza in cui far convergere il sociale e il privato allo scopo di alimentare la conoscenza del mondo. O almeno di quel mondo che era dato allora di conoscere grazie anche ai più illustri letterati italiani. Un pensiero beneaugurante caratterizza la conclusione del discorso zurighese di Francesco De Sanctis: “Come voi con fraterna comunanza d’idee lavorerete insieme, e come qui, nella libera Svizzera, figli di razze diverse e nemiche e serve in casa loro, strettasi la mano e accomunata l’opera, si hanno creata una patria, possano un giorno Italiani e Tedeschi, fatta la giustizia, abbracciarsi, lavorando per la comune libertà al santo grido: Siam fratelli; siam stretti ad un patto!”
Parole che incontrarono il favore di studenti e colleghi, stretti attorno a quel verso manzoniano tratto da Il Conte di Carmagnola che sanciva la fratellanza dettata da un patto siglato nella libera Svizzera fra popoli diversi, propensi ad una fattiva collaborazione culturale ed economica per garantire una duratura prosperità ad entrambi.
A duecento anni dalla nascita di Francesco De Sanctis quelle parole lanciate da una cattedra professorale del Politecnico di Zurigo, si caricano di significato autentico, se si considera oggi l'avverato sviluppo dell'idea di coesione fra i due Paesi confinanti, alla cui attuazione, per bocca di un eminente intellettuale, l'Italia già allora si diceva pronta.