Sono i mille torroni d’Italia, legati alle feste di Natale

Morbidi o croccanti e diversi dal nord al sud

di Domenico Cosentino

Alcuni sono di color avorio, perlaceo, tra due sottili fogli di ostia. Anche perché l’idea base del torrone è questa. Quella di essere un dolce un po’ fané: legato alle feste del paese, ma principalmente alle feste religiose come il Santo Natale, che tanto mi ricorda le zuppiere che mia madre usava come centrotavola piene di torroncini.
Il suo nome viene dal latino “Torrere” – tostare – e la culla del torrone sembra essere la Cina. E qui, nel continente giallo, che l’hanno conosciuto gli arabi e che l’hanno fatto viaggiare attraverso deserti e, in lungo e largo, in tutto il Mediterraneo, fino a quando è giunto in Italia.

Nel Veneto uno dei primi torronifici italiani

Nei secoli in Italia si sono definiti tre matrici di Torroni: quella piemontese di derivazione francese, quella meridionale arabeggiante e quella veneta che guardava a Oriente.
Uno dei primi torronifici italiani, nasce proprio a Dolo, sulla riviera del Brenta, e Pietro, l’ultima generazione della famiglia Scaldaferro, la storia del torrone la conosce bene: “La Repubblica di Venezia – mi racconta nel suo laboratorio- è stata monopolista per secoli delle mandorle e dello zucchero, questo veniva raffinato a Candia (da qui la parola candito), possedimento veneziano e in Veneto, non a caso il torrone è conosciuto come mandorlato, perché è sempre stata la frutta secca più usata”.

Ma a nordovest preferiscono le nocciole
Se a Nordest, il torrone sposa la mandorla, a Nordovest i piemontesi lo accoppiano alle nocciole. Altra storia secolare è quella della famiglia Faccio di Cassinasco, nella Langa astigiana, non più di cento quintali l’anno con la ricetta di sempre: mieli di acacia e millefiori piemontesi, nocciola trilobata Igp, albume d’uovo fresco, zucchero e vaniglia.
Qui le torroniere sono ancora quelle di rame, la cottura viene fatta a bagnomaria e dura fino a dodici ore. Si passa poi negli stampi di legno e via di gomito con la pala di faggio a stendere il composto. “Naturalmente – raccontano i Faccio di Cassinasco – per farlo bene ci vuole tempo e prepararlo più naturale possibile: non usare gelatine che servono a velocizzare la cottura, né glucosio che è più facile da lavorare dello zucchero semolato o di canna. Questa roba la lasciamo all’industria”.

Se a Cremona risale all’epoca rinascimentale…
Cremona, invece, città famosa anche per i violini Stradivari, ogni anno, nell’ultima settimana di novembre, per la festa del torrone, rievoca il matrimonio più famoso della storia di Cremona, quello tra Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza che definì la nascita del dolce simbolo della città: iI TORRONE, che sembrerebbe risalire all’epoca rinascimentale.
La sua caratteristica friabilità è comprovata da un documento dei primi Novecento, in cu si specifica che alla rottura deve comportarsi come fosse di vetro. Questo dolce, così come vuole la ricetta tradizionale (Unico fra i più classici delle festività natalizie), viene preparato con mandorle, miele e zucchero. È una bomba nutrizionale: le mandorle hanno un buon contenuto di acido oleico, fosforo e vitamine, il miele racchiude sali minerali e vitamine, l’albume le proteine.
La ricetta antica prevedeva le mandole con la buccia, oggi si utilizzano quelle pelate e tostate. La cottura avviene a bagnomaria: nella caldaietta già calda si mettono miele e zucchero in sciroppo, poi si aggiungono gli albumi montati e si fa cuocere il tutto, sempre mescolando lentamente, ad una temperatura di 80-85 °C. Alla fine, si aggiungono le mandorle e il torrone è pronto; ingaggiando una corsa contro il tempo per dare forma all’impasto prima che si solidifichi.

…in Sardegna, è un itinerario turistico
Nell’isola dei Nuraghi, del pane Carasau, della Porchetta, del Vermentino, del Cannonau e del Carignano del Sulcis, il Torrone è anche un Itinerario turistico: “Le Strade del Torrone”. Trenta chilometri tra Barbagia e Gennargentu, che uniscono Tonara, Desulo e Aritzo. Un viaggio nel cuore più profondo della Sardegna, e al tempo stesso nelle sue tradizioni gastronomiche. Perché da quelle parti il torrone è uno dei dolci più comuni, speso attrazione principale delle sagre del paese, che a Tonara viene fatto con miele sardo, frutta secca e albume d’uovo. E tra una degustazione e l’altra, i Sardi accompagnano con un bicchierino di Mirto.

più a Sud il Torrone diventa “Spantorrone” o “Gelato”
Più a Sud, anche se a Benevento l’azienda Alberti copre il settanta per cento della produzione di torrone nella grande distribuzione, il cuore sannita di San Marco dei Cavoti, la provincia di Avellino e quella di Reggio Calabria sanno essere ancora artigianali.
A San Marco nascono i “baci” della premiata fabbrica Borrillo, croccantini di mandorle e nocciole ricoperte di cioccolato, mentre Grottaminarda (Avellino) è la terra dello Spantorrone: il torrone viene ricoperto da fette di pan di Spagna imbevute di rum o liquore Strega.
Sul lungomare di Reggio Calabria (il chilometro più bello d’Italia, secondo D’Annunzio), invece, c’è il laboratorio di Bruno Pellegrini: Dolcemania, Caffè-Pasticceria-Gelateria più nota della città. Qui si fanno, ancora oggi, come cento anni, fa La Cupedda, La Cubbaita, che più che un torrone è un croccante di semi di sesamo, miele di zagara e frutta secca. Lo si trova solo sulle sponde dello Stretto e in altri paesi della Calabria e ha origini arabe.
E infine, il Torrone gelato, che è tipico del Reggino e, a dispetto del nome, quello di Bruno è un impasto di canditi, di agrumi, nocciole di Torre Ruggero e pistacchi verdissimi di Bronte, quando li trova, quelli veri!


LA RICETTA
IL Torrone, fai da te

Preparare il torrone in casa può sembrare complicato, ma in realtà la ricetta che propone il Maestro pasticciere Bruno è piuttosto veloce. La frutta secca è stata ridotta a due elementi soltanto: nocciole e pistacchi.

Ingredienti:
200 g di miele di zagara, 300 g di zucchero semolato, 250 di nocciole tostate di Torre (vanno bene anche quelle di Giffoni o delle Langhe), 200 g di canditi di agrumi, 80 g di pistacchi di Bronte, 2 albumi e 2 fogli di carta “ostia”

Ecco come lo prepara Bruno:
In un polsonetto porta miele, zucchero semolato e 70 g di acqua ad una temperatura di 150 °C. Monta gli albumi a neve ferma e unisce al composto. Rimette il tutto sul fuoco moderato per 45 minuti, continuando a mescolare. Leva dal fuoco e unisce le nocciole, i pistacchi e i canditi di agrumi tritati. Mescola energicamente e amalgama alla perfezione. Copre con il primo foglio d’ostia una tortiera rettangolare, versa il composto preparato, livella e copre con l’altro foglio. Preme leggermente con le mani. Lascia riposare per circa mezz’ora, capovolge la tortiera su un tagliere e con un grosso coltello taglia il torrone a pezzi.

Vino consigliato: Un Moscato Spumante. Un Moscato di Saracena o un bicchierino di distillato di Bergamotto.

Buon Natale! E Felice Anno Nuovo!!


Didascalie:


- Maestro Bruno Pellegrini Tosta le nocciole,
- il torrone di Cremona

- torroncini

- la ricetta

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