Storie d’Egitto- Perché gli uomini in Egitto non portano più la barba?

È inevitabile notarlo, per strada: uno si aspetta barbe colossali e niqab a perdita d’occhio, e invece nulla di tutto ciò. Un brutto colpo al folklore, non c’è che dire: è un po’ come scoprire che la madre del re di Giordania è inglese, o che una regina iraniana prendeva il sole in costume sulle spiagge italiane, o che in Palestina producono un’eccellente birra, o che in Tunisia la poligamia è ufficialmente vietata da più di cinquant’anni, o che le chiavi del portone della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme sono da secoli affidate a due famiglie musulmane.
Peccato che l’occidentalismo della gente per le strade del Cairo non abbia nulla a che vedere con il clima di libertà, secolarismo e progressismo che si respirava negli anni Sessanta, quando Nasser indicava con il suo panarabismo socialista una terza, ragionevole via che si sottraesse al letale gioco di potere della guerra fredda, rifiutando l’asservimento economico alle potenze straniere – basti pensare alla nazionalizzazione del Canale di Suez, la cui gestione venne strappata all’intesa franco-britannica (il che ricorda peraltro i tempi dell’Iran di Mossadeq che estrometteva gli inglesi dalla gestione delle proprie risorse petrolifere…ma questa è un’altra triste storia...). Insomma, a quei tempi, al Cairo il niqab era qualcosa come “il vestito della bisnonna che nessuno mette più”, mentre oggi è piuttosto “il vestito tenuto chiuso nell’armadio perché non si può più metterlo”… ma andiamo con ordine.
Una delle correnti islamiche che più di altre è da identificare con il fondamentalismo e l’ottuso conservatorismo religioso è certamente il wahabismo – imperante in Arabia Saudita: lì sì che trovereste rassicurante conferma a tutti gli stereotipi sul musulmano becero – che in Egitto così come in altri stati arabi fornisce sostentamento ideologico e materiale ad analoghe correnti (salvo poi entrarvi periodicamente in conflitto): ecco allora che mentre Nasser in seguito alla sconfitta nella guerra dei sei giorni con Israele insaccava il colpo che avrebbe segnato l’inizio del suo ineluttabile declino, i Fratelli Musulmani, da lui osteggiati, ebbero buon gioco a intraprendere campagne di propaganda fondamentalista intrisa di wahabismo che proponevano al popolo un’alternativa al nasserismo agonizzante.
Ed ecco spuntare qualche barba incolta, e qualche casaccone nero riesumato dall’armadio della bisnonna.
Con l’uscita di scena di Nasser, la Fratellanza proseguì la sua attività politica trovando nei suoi successori – Sadat, ma soprattutto Mubarak – degli avversari ben più tolleranti del loro illustre predecessore, e riuscendo ad espandersi, al punto che, in seguito alla primavera araba (alla quale peraltro non parteciparono che molto marginalmente) e alla conseguente deposizione di Mubarak, conquistarono addirittura il governo con Morsi. Ora, a chi vedeva con perplessità se non ostilità l’instaurazione di un regime fortemente islamizzato saltato opportunamente all’ultimo minuto sul carro della rivoluzione vincente, Morsi rispose promettendo un clima d’apertura verso lo sciismo (che però, ad onor del vero, nell’Egitto pur formalmente sunnita è sempre stato largamente accettato, essendo la tradizione rituale egiziana de facto tendente al sincretismo – basti pensare al notevole ammontare di moschee cairote destinate alla venerazione del parentado maomettano), nonché grande considerazione di copti e donne, per i quali sarebbero anche stati previsti cadreghini in governo…la tentazione di fidarsi era forte, insomma, e si era quasi pronti ad accettare il patto col diavolo…se non che Morsi non ha nemmeno avuto il tempo di mancare alle proprie promesse, in quanto al-Sisi, l’attuale presidente, se ne è sbarazzato con un golpe, instaurando un regime militare. Ed ecco che improvvisamente nessuno per strada può mostrarsi eccessivamente pio: i membri della Fratellanza vengono perseguitati, e le donne in niqab insultate e aggredite. Libertà…libertà d’Egitto, è proprio il caso di dirlo…affaire à suivre!

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