“Hello, Robot”, recita il titolo di una mostra che si chiude in questi giorni al Vitra Design Museum di Basilea. Un titolo particolarmente evocativo: mai come in questi anni sembra di essere alle soglie di un’era in cui i robot acquisteranno un rilievo fino a poco fa immaginato solo dagli scrittori di fantascienza.

Qualche mese fa uno studio del Credit Suisse, oltre che sottolineare l’impennata della robotica (e le opportunità di guadagno per chi voglia investire nel settore), rivelava un dato tutt’altro che rassicurante: il costo di un operaio-robot – in media 4,5 franchi l’ora – sembrerebbe prefigurare una società in cui il lavoro umano diventerà sempre più marginale – e non solo in fabbrica. Un’altra ricerca, commissionata da Manpower, rivela che già oggi il 45% dei lavori potrebbero essere svolti da macchine.
La sostituzione del lavoro umano con le macchine naturalmente non è una novità. Ma fin dai tempi delle prime fabbriche la scomparsa dei “vecchi” mestieri è stata accompagnata dalla nascita parallela di professioni nuove. Per restare in tempi vicini a noi, si pensi all’informatica e a tutto ciò che le ruota attorno.
In quella che viene già definita terza rivoluzione industriale, invece, i “nuovi” posti di lavoro saranno – pare – molti di meno rispetto a quelli in via di estinzione. Come uscirne senza innestare una crisi planetaria? C’è chi non ha dubbi: istituendo il reddito di cittadinanza e – come ha proposto Bill Gates – tassando il lavoro dei robot.
Ma ci vorrà un bel po’ per arrivarci, temo. Nel frattempo, prepariamoci a un’era in cui a sparire, e probabilmente da un giorno all’altro o quasi, saranno non solo posti di lavoro caratterizzati da ripetitività e processi standard – da agricoltura e allevamento alle biglietterie, dagli agenti di viaggio ai postini – ma anche mestieri che fino a poco fa nessuno avrebbe pensato di poter sostituire con robot e automazione.
Lo ha raccontato bene Riccardo Staglianò in Al posto tuo. Così web e robot ci stanno rubando il lavoro (Einaudi): “Le macchine, dopo aver sostituito i lavori di fatica che generalmente non rimpiangiamo, rimpiazzano anche i colletti bianchi, i mestieri intellettuali che volentieri terremmo per noi. Ieri erano in grado solo di fare le braccia, oggi anche il cervello”.
È questa la grande incognita. È solo questione di tempo – e neanche molto, probabilmente – e anche professioni non solo impiegatizie ma addirittura elitarie (“medici, avvocati, giornalisti, analisti finanziari, professori universitari” (!) cominceranno a lasciare il campo ad “app” straordinariamente performanti, in grado di fare al posto loro (e spesso meglio) gran parte del lavoro. Il processo in realtà è già iniziato. Quando da ragazzino sognavo di fare il giornalista non avrei mai pensato che un giorno in fondo non lontanissimo ci sarebbero stati interi “giornali” (siti web, naturalmente), per di più gratuiti, i cui articoli sarebbero stati scritti direttamente da macchine. Eppure è ciò che accade, già oggi.
E quando questo processo sarà ancora più avanzato, quando decine di lavori spariranno davvero e non ce ne saranno di nuovi a sostituirli, non avremo neanche qualcuno cui attribuire la responsabilità. Perché a volerlo saremo stati noi. Come ha scritto Jaron Lanier (citato da Staglianò): “Ci piace la musica gratis, ma poi gridiamo allo scandalo per l’orchestrale nostro amico che non ha più fondi. Ci eccitiamo per i prezzi online stracciati, e poi piangiamo per l’ennesima serranda abbassata. Ci piacciono le notizie a costo zero, e poi rimpiangiamo i bei tempi in cui i giornali erano in salute. Siamo felicissimi dei nostri (apparenti) buoni affari, ma alla fine ci renderemo conto che stiamo dilapidando il nostro valore”.
Rimediare è possibile? Difficile dirlo. Chiudo con una nota di speranza: “Web e robot – scrive lo stesso Staglianò – ci tolgono la terra sotto i piedi, ma non sono eventi naturali imprevedibili come i terremoti. Solo se continueremo a comportarci come se il progresso che portano sia indiscutibile, ineluttabile e ingovernabile finiremo sotto le macerie”.