di Giuseppe Muscardini
Le molte raffigurazioni della Lupa capitolina ci danno una duplice versione delle qualità attribuite nei secoli all’animale. Esaminando il rilievo in pietra gialla conservato al Musée Romain di Avenches (Canton Vaud), le differenze sono ancor più appariscenti. Ma per induzione si è portati anche a volgere la mente all'estro creativo dell'artista zurighese Maryli Maura Herz-Marconi, in arte La lupa.
Le due Lupe
In un gustoso articolo uscito nel marzo scorso sulla Neue Zürcher Zeitung dal titolo Die fuchsrote Wölfin, Jürg Zbinden lodava l’intensa attività di Maryli Maura Herz-Marconi, conosciuta in Svizzera con il nome d'arte di La Lupa.
Originaria della Valle Onsernone, con le sue esibizioni artistiche è capace di regalare emozioni al pubblico che, sempre più folto, assiste ai suoi concerti nello zurighese, in Ticino e in Italia, dove la singolare cantante si reca di frequente. Una decina d'anni fa, nel momento in cui le venivano tributati i meritati onori della professione e dell’età (che non dimostra), curiosamente in Italia gli storici dell’arte, gli archeologi e i restauratori dibattevano vivacemente sulla datazione del bronzo della Lupa Capitolina, il simbolo della romanità esposto al Palazzo dei Conservatori di Roma. Anche la Lupa Capitolina non dimostra l’età che ha: contraddicendo le diffuse interpretazioni secondo cui la fattura risalirebbe al IV secolo avanti Cristo, studi recenti l’assegnano invece al periodo medievale, mentre si sa per certo che i gemelli furono aggiunti nel 1471 da Antonio Pollaiolo, quando l’animale divenne sotto Sisto V emblema della città. La solida postura della bestia richiama l’idea di una ferocia con cui si attua la sopravvivenza e la difesa del territorio: gli occhi sgranati e vigili, i denti superiori ricurvi e bene in vista, suggeriscono l’idea di una bellicosità che ben si prestava a personificare una città divenuta mito, sede di un impero in continua espansione, e poi di un millenario pontificato. Dello stesso simbolo si appropriarono poi i governi autoritari per dare legittimità storica alla politica di allargamento dei confini, adottando la Lupa come incarnazione dell’indole guerriera. Indole che per fortuna oggi si fa più attenuata nei lupacchiotti della squadra di foot-ball giallorossa della Roma, fatta eccezione per qualche gruppo di facinorosi.
Un salto ad Avenches, per capire
L’aspetto della Lupa zurighese è invece quello di una florida signora che abbina la sua voce gradevole e potente ad una gestualità in grado di far emergere raffinatezza e talento innato, il tutto condito da un abbigliamento di scena efficacemente stravagante. Una mise cangiante su cui la vista dello spettatore si sofferma con stupore e piacere, ancor prima dell’espandersi in sala della voce vibrante che intona canzoni o declama versi d'effetto. Il repertorio è godibile, costruito con intenzione sull'antologia poetica della migliore tradizione culturale italiana. Cecco Angiolieri, Dante, Petrarca, pur nella complessità dell’interpretazione, offrono pretesti per toccanti suggestioni destinate al pubblico che sa coglierne i lirismi. Con lo stile che le è proprio, grazie anche al patrocinio della Pro Ticino Zurigo e dell'Istituto Italiano di Cultura, di recente ha portato in scena allo Stok Theater i nei locali del Kunsthaus di Zurigo l’Ars amandi di Ovidio, con interessanti contaminazioni attinte dal registro canoro partenopeo. Si suppone, e non senza ragione, che l’Ars amandi di Ovidio, mutuata e tradotta dal latino, rappresenti una comprensibile difficoltà per un attore. Non così per La Lupa che, intervallando il testo a melodie aderenti all’argomento amoroso, ha voluto evocare i migliori spunti del poeta elegiaco latino nativo di Sulmona e morto in esilio a Tomis per effetto della restaurazione di Augusto. Proprio in epoca augustea si diffuse un gusto estetico nuovo riconducibile ad una gradazione di materna benevolenza nella Lupa Capitolina, raffigurata in atteggiamento amorevole e non sempre con piglio guerriero. Una persuasiva testimonianza sia ha nella lupa di Aventicum, rinvenuta ad Avenches nel 1862 ed ora conservata nel locale Musée Romain. Scolpita su pietra gialla del Giura e datata al I-II secolo dopo Cristo, è riprodotta insieme ai gemelli all’interno di una grotta. Da fiera ben piantata e attenta al proprio territorio quale era in origine, qui la lupa addolcisce il proprio aspetto. Considerata la distanza da Zurigo - un'ora e quarantacinque minuti di auto - e gli orari agevoli del Musée Romain, la lupa di Avenches val bene una visita: servirà ad infrangere l’idea della specificità di un mito, per ridare all’animale prescelto dai latini caratteristiche più vicine a quelle propriamente materne di chi con amore accudisce i piccoli.
La Lupa e i lupacchiotti
Ecco allora che si profila una lecita sensazione: i lupacchiotti, in questo caso, sono gli stessi spettatori delle trascinanti performances di Maryli Maura Herz-Marconi, al Kunsthaus, allo Stock Theatre o altrove, vezzeggiati e cullati da suoni, ritmi e recitazioni.
Farsi amare dal pubblico è un requisito che appartiene di fatto alla Lupa zurighese, dispensatrice di una coinvolgente carica emotiva scaturita da volute corruzioni linguistiche fra italiano e tedesco, per dare spazio ad una fusione tutta anima e core. Un'alzata di ingegno che durante lo spettacolo ben giustifica l'accostamento fra l'artista e una lupa premurosa. La commistione di voci poetiche che La Lupa sa evocare, talvolta è spiazzante, come sempre destabilizzano le spiccate attitudini degli artisti. Trovano posto nelle sue performances Tagore, Domenico Modugno, Lucrezio e il contemporaneo Fabio Pusterla, poeta nativo di Mendrisio, laureato in Lettere moderne a Pavia con Maria Corti. Ancor prima che Fabio Pusterla consolidasse i meritevoli successi vincendo il Premio Schiller nel 2010 (dove già si era affermato nelle precedenti edizioni del 1986 e del 2000), il Premio Gottfried Keller nel 2007 e il Premio Svizzero di Letteratura nel 2013, La Lupa allestì nel 2004 lo spettacolo Dum Vacat - So lange zeit bleibt, tratto dalla silloge omonima edita nel 2002 a Zurigo dalla Limmat-Verlag. Uno spettacolo replicato a lungo negli anni successivi, perché ancora nell'aprile 2013 andava in scena ad Ascona nei locali della Fondazione Monte Verità. Dum vacat, so lange Zeit bleibt Spektakel zwischen Musik und Wort, in Italienisch und Deutsch, mit poetischen Texten von Fabio Pusterla, si leggeva nelle locandine pubblicitarie affisse sulle vetrine di Ascona.
Fra Musica e Parole, dunque, dove le parole, se pronunciate da un'artista valente, hanno un peso e un valore non accessorio: Ci sono giorni in cui le cose che vedo rimangono piatte / sullo schermo: quando la sensazione di profondità è scomparsa, / la sensazione per la superficie cresce, e in tale ottica / il punto di vista raggiunge una chiarezza assoluta e inutile. Avendo come sottofondo musicale le note dal pianoforte di Roger Girod, questi versi di Fabio Pusterla ben si attagliano alla personalità della Lupa zurighese. Segno evidente ed espressione di una formazione culturale che l'artista ha sapientemente trasfuso nel suo lavoro, senza trascurare, pur esplorando Lucrezio ed Ovidio, la tradizione popolare italiana a cui dimostra di essere affezionata. La riprova? Si rintracci, se è ancora possibile dopo oltre vent’anni, un CD dal titolo La gira la Röda – Grazie alla vita, uscito dalla Zytglogge Verlag di Basilea, dove La Lupa riconvoca, cantandoli, i versi del poeta dialettale Biagio Marin, nativo della cittadina friulana di Grado.