Intervista con Pippo Pollina

di Giangi Cretti

Incontro Pippo Pollina a Zurigo, mentre si prepara a tornare sul palco (il 13 gennaio al Volkshaus di Zurigo e poi via per altre 169 date in giro per l’Europa), quando è ormai agli sgoccioli l’anno sabbatico che si è preso per “vivere e guardarsi attorno”, per trovare nuova linfa creativa, che ha subito convogliato in un nuovo disco, Il sole che verrà, (in uscita il 12 febbraio) in cui, con ancor maggior forza, ci richiama alla speranza e al ruolo che ciascuno di noi deve avere nella società. Una rinnovata assunzione di responsabilità che, in uno scenario in cui politica e religione sembrano aver abdicato in favore dell’economia, primo fra tutti, l’artista deve fare propria. Come sempre, con lui il discorso fluisce spontaneo e diretto


Per prima cosa dicci cos’hai fatto.

Ho fatto un disco.

Ci hai impiegato un anno?
Ah che cosa ho fatto in quest’anno? Non ho mantenuto la promessa di venire a cena da te (ride), ma ho girato tanto. Sono stato in diciotto Paesi, di cui cinque nuovi, dove mai avevo messo piede e quindi ho visto cose nuove e ho tratto ispirazione per scrivere di nuovo. Mi sono goduto il tempo. Ho sistemato casa nuova. Mi sono guardato dentro e attorno. Ho vissuto. Mi è piaciuto tanto. Lo rifarei.

E poi hai fatto un disco...
E poi ho fatto un disco. Dopo tre anni avevo voglia di fare un disco nuovo. Le cose cambiano. Alcuni dei progetti che ci hanno accompagnato per una vita diventano obsoleti e vengono sostituiti da altri. Il significato che un oggetto ha, ciascuno di noi lo vede in maniera personale, però ha anche un significato oggettivo. Il libro è un oggetto che contiene informazioni, riflessioni, analisi che ci portano al raccoglimento nel leggerlo. Raccoglimento interiore, ossia siamo lì, in tranquillità, a riflettere su quello che leggiamo. È un oggetto di un certo tipo, che premia, mette in evidenza alcuni aspetti del nostro modo di essere, del nostro modo di vivere. Questi oggetti oggi giorno sono stati sostituiti da altri oggetti, che invece esaltano altre modalità di vivere. E quindi io ho fatto un disco nuovo, perché penso sia importante offrire momenti di riflessione alla vita, stare seduti ascoltando ponendo attenzione a qualche cosa per un'oretta. Il disco secondo me ha anche questa funzione.

Il disco, o la musica e le tue canzoni? Intendo: il disco come supporto fisico della musica e delle canzoni?
Entrambi. Sai perché? Il supporto è la rappresentazione materiale di una cosa che materiale non è, ossia la musica. È come, appunto, un libro, questo tipo di supporto che hai nella libreria…

C'è la sua fisicità.

Esatto, c'è la sua fisicità. Occupa uno spazio: in materiale e quindi mentale, perché tu lo vedi e ti induce a pensare: "Quel disco mi è piaciuto. Ora lo rimetto. Lo sento anche mentre faccio i piatti. Magari la prima volta mi siedo, apro il libretto, leggo i testi. Io, per esempio, li leggo sempre in contemporanea alla musica. A me piace molto pensare che ci siano ancora tante persone come me che fanno così e apprezzano quello che succede mentre si ascolta un disco. Non è la stessa cosa che avere tutto digitalizzato. A parte l’effetto acustico, mi piace l'idea che i ricordi, come il passato, come le parole, possano avere una loro fisicità. Il tempo non è soltanto aria che tira e se ne va, ma è un qualcosa che ha una sua materialità, che si accumula. Il tempo che impieghiamo per riflettere, per scrivere un libro, poi si materializza in qualcosa di concreto che tu puoi prendere in mano e che quando tu lo poni su uno scaffale, riverbera quelle parole, quei ricordi. E tu guardando pensi… ah sì, quel libro, mi ricordo, parla di questo… Così continua il rapporto con i temi e le emozioni che hai incrociato leggendo. Per questo mi piace ancora fare dischi.

Il tuo nuovo album si intitola "Il Sole che verrà". Annunciandolo hai dichiarato senza mezzi termini che la speranza, da sempre sotto traccia nei tuoi lavori, è il filo conduttore dell’intero album e che gli artisti hanno una specifica funzione sociale.
Tu stesso, chiacchierando prima, cosa mi hai detto? Con una metafora mi hai detto che la politica, ma io aggiungo anche la religione, non è più in grado di esprimere quel repertorio di valori, di cui una società ha bisogno per funzionare bene. Non soltanto nei suoi meccanismi, ma per far star bene le persone che la compongono. La politica, la religione hanno fallito, perché hanno ceduto totalmente al loro ragion d’essere all'economia. L'economia ha sostituto la politica ed anche la religione, occupando tutto il territorio. Con la caduta del muro di Berlino, progressivamente, le società capitalistiche hanno occupato tutti gli spazi possibili, anche quelli che non sono loro proprie. Il Natale oggi è mero consumo, un business enorme per vendere, comprare, fare regali, organizzare vacanze. In tutto ciò, Gesù Cristo si rivolta nella tomba, a prescindere se uno ci crede o meno, ma si rivolta. Ma non è un assurdo? Non se ne può più. La politica non ha più il primato che aveva. L'economia ha prevalso nettamente su tutti i fronti, tutto si fa valutando vantaggi e benefici materiali.

È qui che tu rivendichi il ruolo dell'artista.
Certo. Se la politica e la religione sono fuori gioco, bisogna restituire all'umanità quelle due, tre cose che sono andate perdute. Noi abbiamo il dovere di prenderci delle responsabilità e di riportare certi temi all'interno della società, all'interno delle famiglie, all'interno delle scuole. Dobbiamo "mischiarci".

In qualche modo, senza scomodare il passato, riproponi una visione gramsciana. Sul ruolo dell’intellettuale e della cultura.
Non a caso Gramsci elaborò queste idee in un periodo in cui si affermava la dittatura, in un contesto sociale che avrebbe poi portato alla guerra. Noi viviamo in un tempo in cui l'umanità è consapevole che il clima e il pianeta si stanno surriscaldando e che la politica deve intervenire, altrimenti fallirà tutto un giorno. Ma siccome conta sola il tornaconto del presente, i potenti del mondo non si interessano a quanto potrà accadere fra 50 anni, tanto loro non ci saranno più. Ma che storia. Questa è pazzia. Oggi, più che mai, la tecnologia ci dice che abbiamo bisogno di saggezza, di ricondurre l'uomo a cose più normali, altrimenti io non so come andrà a finire. I segnali non sono buoni. Per esempio, il popolo americano che elegge Trump, Putin continua a fare ciò che vuole, Erdogan si attrezza per poter essere ancora più dittatore di quanto già non lo sia, l'Europa vende le armi sotto banco all'Isis, che è considerato il pericolo pubblico numero 1. Ma dove stiamo andando? Il mondo occidentale guarda alla Siria come se si trattasse di un film. Centinaia di migliaia di persone sono morte, muoiono, moriranno, solo perché hanno avuto la sfortuna di nascere lì. Quel territorio è diventato una specie di palestra, il laboratorio della guerra, dove il buon senso non ha albergo. Eppure noi siamo qui e brindiamo.

In che modo, la musica, le canzoni, i testi possono ricondurre l'individuo a riappropriarsi di quel senso di responsabilità che oggi manca? In qualche modo siamo tutti responsabili di fronte a quanto accade o accadrà.
Con nuova consapevolezza. Durante il nazismo in Germania, in modo clandestino si è sviluppato era il teatro alternativo che sviluppava una forma di opposizione al nazismo. Dopo la guerra, la Germania capì che dovevano partire dalla grande cultura tedesca per riposizionarsi all'interno del panorama europeo. E pensa cosa successe in Italia alla fine della Seconda Guerra Mondiale. La rinascita. Lo sviluppo dei talenti. La letteratura italiana del dopoguerra ha trovato il suo momento culminante. Lo stesso vale per il cinema con il Neorealismo. Tutto nacque dalla distruzione. Non dico che bisogna aspettare la distruzione, per capire che c’è necessità di ricostruire. Ma anche qui ormai si sta degenerando: persino il terremoto è un grande affare, cosi come dicono i politici e politicanti incerte telefonate.

In questo scenario che senso ha un disco sulla speranza?

Ha senso, perché è un modo per schiaffeggiarsi, svegliamoci, perché se abbiamo una chance ce la dobbiamo giocare. Altrimenti ahimè… intanto che vivo, ai nostri figli e ai loro amici, dico "ragazzi c'è speranza, datevi una mossa, perché il futuro è vostro, pero siete voi che dovete cambiare le cose".

E questo è possibile malgrado tutto? In fin dei conti, c'è una forma di consumismo esagerato anche nel modo in cui fruiamo dell'informazione, della cultura, del divertimento, della convivialità.
Certo, implica uno sforzo, una disciplina personale. Anche soltanto per cercare di orientarci fra le notizie, distinguendo la bufala dalla verità. Noi italiani, abbiamo un esempio davanti a noi, ossia il referendum. Io ho votato no con convinzione. Non perché sono contro le riforme, non sono a favore di questa. Vorrei ci fossero delle riforme, ma di un altro tipo. Ti ricordi cosa scrivevano i giornali italiani ed europei prima del voto? Che se l'Italia votava no, sarebbe avvenute disastri inenarrabili. Un terrorismo mediatico incomprensibile. Ma di cosa stiamo parlando. Perché dire che l'Italia esce fuori dall'Unione Europea? Non era questo il quesito del referendum. Poneva una questione di politica interna italiana ed ognuno poteva essere a favore o contro. Infatti che è successo dopo? Niente, niente con la N maiuscola. L'Italia è rimasta la medesima. Cosa doveva succedere? È caduto il Governo, il giorno dopo ce n’era un altro uguale: non c'era più Renzi, c'è Gentiloni, i ministri sono praticamente gli stessi, e, secondo prassi non sempre comprensibile, si sono scambiati le poltrone. Ma anche questo è una spia che ci fa capire in che Paese viviamo. La cultura del potere distrugge tutti i giorni il Paese reale, anzi l'ha già distrutto. Ha raschiato il fondo barile. Peccato, l'Italia potrebbe essere l'eccellenza del mondo.

Veniamo al tuo disco, per le brevi anticipazioni che ho avuto modo di ascoltare e senza la competenza dell’esperto, ho avuto l’impressione di un disco più maturo sia dal punto di vista musicale, sia da quello delle scelte e delle collaborazioni. Si percepisce un coinvolgimento più ampio di diversi generi musicali. C'è anche, e questo l'hai già dichiarato tu stesso, la scelta precisa di esperienze musicali e canore completamente diverse dalle tue.
Concordo. Quando faccio un disco (ne ha fatti 22 – ndr) lo faccio non perché devo combattere la noia. Io ho una pretesa intellettuale di proporre una cosa, un elemento di studio, di sviluppo autentico. Come l'incontro con altri artisti: per esempio con una jazzista norvegese, una cantante di tango argentino di Buenos Aires, una cantante mezzo soprano dello Staatsoper di Monaco. Tre generi di interpretazione musicale diversi, provenienti da territori diversi, che però convergono un'energia alla forma canzone. A me interessa rientrare in questo modo di concepire la forma canzone, che io amo e sulla quale lavoro, con artisti, con altri elementi, con altri progetti, espressione di altre esperienze e di altri territori in direzione della canzone. Noi ci incontriamo sempre nel territorio della canzone. Questa fusione ci fa capire che la musica è un terreno fertile, versatile, in cui tutto è possibile. È possibile mischiare, mantenendo fermo un comunque filo conduttore. Prendi, ad esempio, la canzone E Laggiù le Lampare in cui, con Rebekka Bakken, raccontiamo del mare: io come siciliano, lei come norvegese. Il mare dei fiordi e il mare del Mediterraneo sono due mari diversi. Si pensa sia uguale, ma non è così. Il mare porta storie diverse. Per i norvegesi il mare non è un cimitero come lo è invece il Mediterraneo, che racconta delle storie drammatiche. Ecco che diventano le metafore che servono a raccontare le storie di oggi. Io ho la pretesa, un dovere, la responsabilità culturale di dare il meglio di me, come canzoniere, di incidere e creare un pezzo di cultura, come un libro. Non qualcosa che si consuma e basta, ma come qualcosa che rimane lì per chi vuole ascoltare.

Nel disco c'è anche tua figlia...
Lei canta con me in quattro, cinque pezzi fa i cori. Avevo bisogno di un coro ed è venuta lei con il suo ragazzo, che canta anche molto bene. Sono stati bravi.

Qui batte il cuore di padre?

Certo. Puoi immaginare.

Nel tuo disco, che uscirà il 12 gennaio, c’è una canzone dedicata a Muhammad Ali.
Se tu mi dici che ti sei alzato di notte a veder il suo combattimento con Foreman, lo puoi capire. Quando ha Ali smesso di combattere, ho smesso di seguire la boxe. Queste sono le persone che cambiano la vita e che cambiano la visione di uno sport. La boxe è morta oggi giorno. È finita, non conta più. A me della boxe non fregava niente, anzi non è mai piaciuto come sport, ma quando c'era lui era tutta un'altra cosa. Vedevi questo che danzava sul ring e tu pensavi: ma che sta facendo li nell'angolo? Perché? Poi lui combatteva a mani basse. Ma come mai? Ma è pazzo? Ma lui voleva comunicare una cosa precisa. Nel combattimento, nella boxe non conta la forza bruta, ma conta il colpo al momento giusto. Allora io vinco schivando i colleghi avversari, li faccio stancare e poi ne basta uno al momento giusto e ciao. Io ricordo benissimo quando ci fu l'incontro con Foreman nel '74. Ricordo mio padre che era un grande fan e quindi ancora bambino avevo il permesso di alzarmi alle 4 di notte per vedere la boxe e Muhammad Ali. Quando lui passò 6-7 riprese, a fare ammattire l’avversario, rinchiudendosi nell'angolo, lo fece stancare e sferrò il cazzotto e lo fece andare KO. Ci fu un momento in cui Foreman barcollò, stava per dargli un pugno e poi si fermò. Poteva dargliene altri e invece non infierì. Fece la mossa ma si fermò. E chi era Ali? Era uno che non esitò a rifiutare di andare in guerra in Vietnam e questo rifiuto espresso pubblicamente in conferenza stampa gli costò quattro anni di squalifica e due di carcere. Per questo oggi il mondo è quello che è. Ma vogliamo mettere uno come Cassius Clay accanto a uno come Bobo Vieri, o come Cristiano Ronaldo. Quali sono gli sportivi che oggi sarebbero pronti a mettere a repentaglio la loro libertà personale e la loro onorabilità professionale, per prendere una posizione forte come l'ha presa lui nel 1964? Cinquant'anni fa. Io mi tolgo il cappello. Sto dicendo quelle cose che pensi anche tu.

Se escludiamo alcune prestigiose collaborazioni e duetti, tu canti in italiano per un pubblico che, per la maggior parte, italofono non è. Un pubblico numeroso che ti segue, non è un caso che l'anno scorso nel tuo ultimo concerto prima dell'anno sabbatico hai riempito l’Hallenstadion di Zurigo, come solo i grandi della musica sanno fare. Come ti spieghi che il tuo pubblico non sia italofono? Eppure tu sei un messaggero della lingua italiana. In questo ruolo sei stato invitato anche in università americane.

Si, anche a Parigi, ad Amsterdam. Come me lo spiego? Eh… Ci sono tanti motivi probabilmente. Io non vivo più di Italia da tanti anni. Secondo me per essere considerato espressione della musica italiana, non in modo astratto, devi esserti affermato lì professionalmente; devi essere in contatto con mass media locali, con quel modo di pensare, con quel modo d'agire.

Sempre lo scorso anno hai riempito l’Arena di Verona.

Vero ma la cosa stridente è che su dieci mila persone che c’erano, nove mila erano stranieri e mille italiani. Non è che non ci sono, c'erano. Ma ormai la canzone d'autore italiana è un'arte vive un momento di stasi. Poi in Italia se non sondi il terreno, non ti conosce nessuno, a meno che non fai tutte ‘ste trasmissioni, come X-Factor. In Italia ormai, la canzone d'autore non interessa più, da ormai da trent'anni è uscita dalla programmazione radiofonica. Ma tu senti mai una canzone di Guccini che passa in radio? Come possono le nuove generazioni conoscere questa forma artistica se non ne conoscono l'esistenza. Ci sono nel panorama musicale italiano tantissimi cantautori, e pure bravi, che nessuno conosce.

Perché gli stranieri invece li apprezzano? Ti apprezzano?

Se io avessi vissuto in Italia, probabilmente mi avrebbero conosciuto. Ma forse non mi avrebbero conosciuto qui, e io preferisco così. In Italia avrei dovuto fare tanti compromessi che non sono capace di fare: blandire i giornalisti, diventare un ragazzo di quella rassegna, partecipare ai salotti, avere qualche amico politico. Ma cosa c'entra? In Italia, se sei donna, la devi dare a chiunque. Non lo dico io, ma i tanti colleghi e colleghe con cui parlo. Ma siamo nel 2017? Ma il risultato quale è? Umberto Eco, Dario Fo muoiono e ci rimangono Sgarbi e Andrea De Carlo. Vogliamo fare un confronto? Ciò che muore è la cultura italiana. E per colpa di una cultura del potere che per nutrire sé stessa è disposta ad uccidere la migliore parte della propria cultura, perché altrimenti quella sarebbe critica nei suoi confronti. Si valorizza e si assegnano posti migliori a coloro che sono ossequiosi. Il risultato quale è? Che i migliori se ne vanno: non solo gli artisti, anche i migliori ricercatori se ne vanno. Che si vuole? Allora noi rappresentiamo l'Italia fuori dai confini a nostro modo.

Accanto alla tua attività, quest’anno hai improvvisato quello che possiamo definire il primo tentativo di realizzare a Zurigo un mini festival della canzone d’autore italiana. Un'esperienza, da un punto di punto della partecipazione di pubblico, soddisfacente, anche se quelli che sono venuti sono soprattutto quelli che sapevano che eri tu il direttore artistico della manifestazione. Non demordi e l'anno prossimo ci sarà un bis.

Sì e lo facciamo insieme. Io un tentativo lo voglia fare, poi se fallirà, si vedrà. Adesso c'è un anno di tempo, dobbiamo trovare dei partner che possano essere sensibili alla cosa e far partire questa esperienza. Sperando possa diventare un giorno una cosa che non si fa più ala Miller’s Studio ma che si fa in un posto più prestigioso e che coinvolga la stampa nazionale svizzera e magari anche quella italiana. Da cosa nasce cosa.

Il 12 gennaio uscirà il tuo disco. 13 gennaio sarai al Volkshaus di Zurigo e poi via in una lunga tournée. Quanti concerti sono previsti nel 2017?

170 concerti in otto paesi, in Francia, Olanda, Germania, Austria, Svizzera, Italia, per la prima volta in Ucraina. In Italia, in teatro, a Roma, Torino, Firenze, Misano Adriatico, Mantova, e Milano. Poi, il 9 giugno, a Palermo al Teatro Massimo.

Torni sul luogo del delitto.
Dei delitti. Ce n'è più di uno.


Tutte le informazioni sulle date dei concerti di Pippo Pollina su: www.pippopollina.com