di Viviana Pansa
Le elezioni anticipate previste l'8 giugno nel Regno Unito e annunciate a sorpresa nella seconda metà del mese di aprile dalla premier inglese, Theresa May arricchiscono il già fitto calendario di appuntamenti elettorali europei di questo 2017.
Per la Gran Bretagna non si tratterebbe più, ora, di un referendum sull'uscita dall'Unione Europea, ma di un tentativo di rafforzare il governo conservatore e la maggioranza parlamentare che sostiene la sua leadership nel negoziato sulla Brexit. L'obiettivo è quello di salvaguardare l'accesso privilegiato del Regno Unito al mercato europeo, condizione che verrà concessa dall'Unione solo a patto di tutelare la libertà di movimento dei cittadini e rispettare le regole comuni. La complessità del negoziato rende indispensabile per la sua riuscita un forte consenso parlamentare, che la May spera di ottenere sfruttando il favore di cui gode in questo momento in patria – capitalizzato con l'uscita di scena di David Cameron e il suo piglio deciso nell'affrontare la svolta innescata dal referendum del 2016 - e, di converso, la debolezza dei laburisti guidati da Jeremy Corbyn, accusato di poca convinzione nel sostegno al remain, oltre che di politiche economiche superate e posizioni poco progressiste anche sul fronte dell'immigrazione e del libero commercio.
Dopo il voto olandese, a marzo, e la fine della campagna per le presidenziali francesi in questo mese di maggio, sarà dunque ancora l'Europa al centro del dibattito politico dei prossimi mesi, in attesa dell'importante consultazione tedesca di settembre e non più così scontata, con la rimonta registrata in queste ultime settimane dai socialdemocratici guidati da Martin Schulz, già presidente del Parlamento europeo. C'è chi sostiene, inoltre, che questo “vento elettorale” potrebbe favorire l'indizione di elezioni anticipate anche in Italia, alle prese con la rifinitura della manovra correttiva richiesta da Bruxelles e con il varo del Documento di economia e finanza in un contesto sempre segnato da difficoltà e crescita minima – il Fondo monetario internazionale, pur in un quadro di miglioramento rispetto alle stime dello scorso ottobre, attesta l'aumento del nostro Pil nel 2017 allo 0,8%, definendo il nostro sviluppo “nettamente al di sotto del potenziale”.
Si tratta del primo atto di programmazione economica del governo guidato da Paolo Gentiloni e cornice di quella che sarà la legge finanziaria dell'autunno prossimo, un documento cui il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker ha già confermato i suoi buoni auspici. Dal canto suo, Gentiloni ha precisato come non vi siano previste nuove tasse se non quelle su giochi, tabacchi e sugli affitti brevi e l'ha definita “una manovra di rilancio”, pur nel rispetto dei vincoli europei. In ossequio alle richieste della Commissione, la correzione dei conti dello 0,2% del Pil – 3 miliardi e 400 milioni di euro – che dovrebbero derivare da tagli alla spesa pubblica, lotta all''evasione fiscale, rottamazione delle liti pendenti con il fisco e caute privatizzazioni. L'obiettivo è il rientro del rapporto deficit/Pil al 2,1% quest’anno per giungere nel 2019 allo 0,2%. Il taglio al debito pubblico dovrebbe invece assestarsi dal 132,5% attuale al 128% del Pil nel 2019.
Intanto, il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, afferma che la ripresa economica in Europa “sta migliorando e guadagnando forza”, anche se nulla giustifica ancora - assicura - un’inversione di marcia della politica monetaria. Prudenza dunque sull’inflazione. Il circolo virtuoso è dato dalla spinta tra “consumi in rialzo, crescita dell’occupazione e redditi da lavoro”, su cui l’Italia però ha ancora molto da lavorare, anche se Draghi scorge una “svolta positiva” nel nostro mercato del lavoro dalla seconda metà del 2015. Tuttavia rimarca l’opportunità di un aumento dei salari, la cui crescita è invece “ben al di sotto delle medie storiche”, e che aiuterebbe anche il tasso di inflazione auspicato.