Donne in carriera: Virginia Sciacca
di Ingeborg Wedel
La donna in carriera di cui parliamo su questo numero è giovane appassionata e rappresenta un caso virtuoso e straordinario di opportunità che consentono di costruire e desiderare il proprio futuro nella regione in cui si è nati
Grazie a questo incontro vorrei far conoscere meglio al grande pubblico i delfini, che siamo soliti considerare solo come giocherelloni, che fanno grandi salti e risultano simpaticissimi a tutti. Però sono anche dei predatori molto furbi: in gruppo seguono i pescherecci e – di notte – riescono anche qualche volta ad aprire le gabbie contenenti spigole e orate ... Dialogano tra loro e sono ben organizzati, dimostrando tutta la loro intelligenza.
Saranno anche opportunisti e ladri ma – personalmente – li amo comunque, ... devono pur mangiare: si nutrono di pesci, specialmente di notte e – di giorno – saltano e giocano ed è un piacere vederli così allegri!
Lasciamo ora che ad introdurci nel loro mondo sia la giovane dottoressa Virginia Sciacca che ha studiato a lungo questi meravigliosi mammiferi marini.
Ho 28 anni e sono nata a Messina. Ho studiato Biologia ed Ecologia Marina presso l’Università della mia città e ho proseguito il percorso accademico presso lo stesso ateneo, laureandomi con lode al corso magistrale in Biologia ed Ecologia dell’Ambiente Marino Costiero e, successivamente, completando l’iter formativo con il conseguimento, nel 2016, del titolo di Dottore di Ricerca in Scienze Ambientali: Ambiente Marino e Risorse.
Il sogno di diventare biologa marina e di studiare i cetacei è nato in quello che è forse il più semplice e banale dei modi -“la prima volta che ho visto un delfino dal vivo”- e si è fatto strada negli anni, alimentato dalla passione e dal legame con il mare che accomuna, in modo diverso, probabilmente tutti gli abitanti della città sullo Stretto.
La scelta di intraprendere e proseguire gli studi restando nella mia città natale è stata fondamentalmente dovuta a due ragioni: la prima, di carattere storico, è legata alla scuola messinese di biologia marina che vanta un passato di illustri ricercatori, tra cui cito Arturo Bolognari, il primo a studiare il passaggio dei capodogli nello Stretto di Messina e la loro migrazione nel Mar Mediterraneo; la seconda ragione per restare in Sicilia, determinante soprattutto nel proseguimento degli studi fino al più alto titolo accademico, è stata legata alla crescente consapevolezza della bellezza e della fragilità delle risorse naturali del nostro mare da noi stessi depauperato e anche alla voglia di studiare i cetacei in aree come lo Stretto di Messina e il Mar Ionio, che tecnicamente possiamo definire “data deficient”, perché fino a pochi anni fa trascurate per limiti tecnologici, mancanza di interesse o scarsa capacità di attrarre finanziamenti.
Il romantico approccio con la bioacustica
L’assenza di gruppi di ricerca sui cetacei a Messina, mi ha portato a svolgere la tesi triennale presso un centro di ricerca privato in Sardegna. Qui, per alcuni mesi ho studiato quotidianamente una popolazione di tursiopi selvatici (per chiarezza, il tursiope è il classico delfino che si osserva negli acquari) e l’impatto delle gabbie di un allevamento ittico costiero sul loro comportamento e sulla loro strategie predatorie. Lo studio dell’ecologia dei cetacei in ambiente naturale si può effettuare con l’utilizzo di diverse tecniche. Tra tutte, quasi casualmente, mi venne affidato l’uso della bioacustica, ovvero lo studio dei suoni degli animali e di come questi vengono utilizzati in relazione all’ambiente esterno per comunicare e, nel caso specifico dei cetacei, per orientarsi nello spazio e svolgere tutte le proprie funzioni vitali, attraverso l’utilizzo di un sistema di “sonar biologico”. Così, in una sera di monitoraggio da una piccola imbarcazione, nel silenzio assoluto di una tranquilla notte sul mare, messo in acqua il microfono subacqueo, ovvero “l’idrofono”, indossai le cuffie e scoprii che quel silenzio si trasformava sott’acqua in un coro di fischi e click, prodotti dai delfini. Quando la notte non ci consentiva di osservare gli animali, il suono ci permetteva di scoprire che i delfini erano vicini e che stavano “cenando”.
Il progetto nemo
Superato questo primo, più romantico, approccio con la bioacustica, la svolta più grande nel mio percorso è stata rappresentata dalla scoperta dell’esistenza di un progetto internazionale, nato e sviluppatosi proprio in Sicilia, grazie all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – Laboratori Nazionali del Sud di Catania, il progetto NEMO (oggi KM3NeT). Il progetto nasce per lo studio di particelle astrofisiche di alta energia, ovvero i neutrini che, a detta dei colleghi fisici, forniscono informazioni su sorgenti astrofisiche come ad esempio i buchi neri (per maggiori info sul progetto www.km3net.org). Il cuore del progetto prevede l’installazione di un telescopio sottomarino per neutrini che occupi il volume di 1 km cubo, formato da numerose strutture semi-rigide alte circa 800 m, alla profondità di 3600 m, a 100 km dalla costa, al largo di Portopalo di Capopassero, nell’estremità sud-orientale della Sicilia.
Il progetto, avviatosi nei primi anni del 2000 con lo sviluppo delle necessarie tecnologie ed attualmente in fase di installazione, prevede l’utilizzo di sensori acustici (idrofoni ed emettitori) per la ricostruzione acustica della posizione delle strutture che compongono il telescopio. L’uso di tali sensori ha portato alla prima collaborazione tra fisici e biologi, nata nel 2005 in particolare grazie a due ricercatori che oggi posso anche definire i miei mentori: il Prof. Gianni Pavan, naturalista tra i pionieri della bio-acustica in Italia e il Dott. Giorgio Riccobene, fisico delle astro-particelle.
Gianni Pavan è stato il primo a insegnarmi realmente cosa fosse la bioacustica quando, nel 2011, ho seguito il suo corso di Bioacustica Terrestre e Marina presso l’Università di Pavia. Giorgio Riccobene mi ha invece accolta nel suo team all’INFN, insegnandomi sempre moltissimo e facendo crescere un gruppo di appassionati composto da fisici ingegneri e biologi con fiducia e disponibilità massima.
A Giorgio Riccobene e Gianni Pavan credo oggi dobbiamo la nascita di questa nuova corrente inter-disciplinare in Italia e io, insieme a pochi altri ex-studenti, forse grazie a un buon mix di passione, determinazione e fortuna, oggi possiamo dirci tra i pionieri di questo nuovo filone di ricerca in Italia e, in particolare, in Sicilia.
Oggi, grazie a questa collaborazione e alle nostre ricerche, abbiamo realizzato le prime scoperte sui delfini, sui capodogli e sulle balenottere comuni al largo della Sicilia orientale, ma cosa ancora più importante, abbiamo il know-how e gli strumenti per monitorare acusticamente in continuo e in tempo reale la presenza di queste specie in aree chiave per il loro transito migratorio e per la loro alimentazione.
Così dopo il dottorato di ricerca e diversi anni di lavoro in collaborazione tra l’Università di Messina e l’INFN di Catania, spero di iniziare a breve un nuovo periodo di lavoro con il CNR- Istituto per l’Ambiente Marino Costiero di Messina, continuando tuttavia a collaborare con i fisici dell’INFN.
Oggi, grazie a questa collaborazione, sto anche per sposare uno dei ricercatori più bravi che abbia mai incontrato, un fisico di cui mi sono innamorata alcuni anni fa e da cui ho imparato moltissimo, sul lavoro e nella vita di ogni giorno.
Fin qui la presentazione della realtà professionale della nostra donna in carriera, che ha la fortuna di conciliare in un tutt’uno lavoro passioni e affetti. Sul prossimo numero della Rivista, vi proporremo il resoconto della nostra consueta intervista.